Il sindaco stringe i tempi ma esclude la staffetta: sarebbe solo un errore

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ROMA — Matteo Renzi è pronto per tornare nella sua Firenze dopo la direzione del Pd. Ha giusto il tempo di scambiare qualche osservazione con i fedelissimi prima di prendere il treno: «Con Enrico non ho calcato la mano volutamente. Il suo discorso ha imbarazzato tanti nella riunione. Io ho preferito lasciar stare. Gli ho solo dato i quindici giorni. Decidesse lui che cosa vuole fare: o opta per un colpo d’ala o si trascina avanti in questo modo. Ma il Pd in questo caso non seguirà le sorti declinanti del governo».
Il sindaco sa che si è giunti al momento della verità. Davanti al parlamentino del Pd si è lasciato tutte le strade aperte: voto anticipato, staffetta a Palazzo Chigi, proseguimento della legislatura con Letta. Quest’ultima opzione, però, ha la data di scadenza: «Lo schema era quello di un percorso di diciotto mesi. Dieci ne sono passati. Ne mancano otto».
Ma di questo ieri sera, dopo la riunione, il segretario preferiva non parlare. Era tutto proiettato su un altro scenario futuro: «Diciamoci la verità, qui o si rompe tutto, e le riforme, purtroppo, saltano, e quindi si va alle elezioni, oppure riusciamo a rivoltare l’Italia come un calzino e facciamo quello di cui l’Italia ha bisogno». Ma veramente, in questo secondo caso, il sindaco di Firenze pensa che sia possibile raggiungere il traguardo con Letta? «È tutto nelle sue mani — confida agli amici — finora il suo governo si è rivelato inadeguato, questa è la realtà dei fatti, ma potrebbe prendere coraggio e compiere una svolta. Altrimenti è chiaro che non si va da nessuna parte». In questo caso, a dire il vero, c’è qualcuno che da qualche «parte» potrebbe anche andarci. E non è Letta, bensì Renzi.
Quel Renzi che ha fissato per il 20 febbraio la direzione in cui il Pd discuterà del governo. E ne deciderà anche le sorti. Per uno di quei curiosi, ma frequenti casi del destino, quella riunione si terrà all’indomani dell’incontro tra il presidente del Consiglio e il leader di Confindustria Giorgio Squinzi, che, ieri, a Radio 24, ha lasciato intendere a Giovanni Minoli di aver deciso di abbandonare l’inquilino di Palazzo Chigi al suo destino: «O si presenterà con le bisacce piene o…». O il presidente di Confindustria chiederà al capo dello Stato di non sostenere più questo governo. E qui arrivano le complicazioni per Renzi. Perché Giorgio Napolitano non vuole «un vuoto politico» in questa fase e perché ormai sono molti i soggetti — tra politici, imprenditori, esponenti del mondo della finanza e dell’economia — che chiedono al segretario del Partito democratico di prendere il posto di Letta.
Il sindaco di Firenze ritiene che sarebbe «un errore» e sa bene che i precedenti in materia non giocano in suo favore. Un esempio per tutti: Massimo D’Alema. Come sa che se andasse alle elezioni in tempi relativamente brevi avrebbe la vittoria a portata di mano. Con la riforma elettorale, secondo quasi tutti i sondaggi, il centrosinistra governerebbe senza dover scendere a patti con nessuno. E, comunque, alla peggio, anche con il sistema frutto della sentenza della Consulta il Pd avrebbe un notevole pacchetto di consensi e Renzi potrebbe vestire i panni della Merkel in una grande coalizione.
Ma il segretario del Pd sa anche che «resistere» al pressing forsennato che viene fatto nei suoi confronti è sempre più difficile. «Il tema non è il mio ingresso a Palazzo Chigi, chi se ne importa, non voglio farmi ingabbiare, risucchiare dalla palude e voglio stare lontano da certa gentaccia», confessa lui agli amici fiorentini. E aggiunge: «Non sono un bischero e non voglio che gli altri mi facciano bischero». Ma anche Renzi, che non si tira indietro di fronte alle decisioni difficili, sa che sarebbe complicato per lui respingere certe profferte. L’uomo che vuole «chiarezza» e che la chiederà a Letta il 20 febbraio, potrebbe essere costretto a doverla esprimere lui. Con un sì o con un no che potrebbero cambiare le sue sorti e quelle della politica italiana.
Maria Teresa Meli


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