Processo ad Amazon

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L’ onda anti-Amazon è sbarcata anche in Europa. Mentre in Francia la lotta contro il monopolio è affare di Stato, con una legge, approvata all’unanimità dal parlamento, che vieta gli sconti eccessivi dei volumi venduti online per tutelare le piccole librerie (una battaglia sostenuta dal ministro della Cultura Aurélie Filippetti), in Germania oltre mille scrittori tedeschi, austriaci e svizzeri si sono schierati al fianco dei 900 americani che si sentono danneggiati dalla guerra che il colosso di Seattle ha ingaggiato con le case editrici.
Tutto è cominciato negli Stati Uniti dove Amazon vorrebbe vendere i titoli elettronici di Hachette, che ora costano tra 12,99 e 19,99 dollari, a un prezzo unico di 9,99. A questo dovrebbe corrispondere anche una nuova ripartizione dei diritti: 50 per cento all’autore, 20 all’editore, 30 al distributore. Il braccio di ferro è in corso da mesi e la libreria globale di Bezos ha messo in atto tattiche di disturbo sui libri pubblicati da Hachette: consegna ritardata, cancellazione dei titoli dalle liste dei consigli, prevendite impraticabili. Risultato: più di 900 scrittori (non tutti pubblicati da Hachette) — tra cui Paul Auster, Donna Tartt, Jay McInerney, Stephen King, John Grisham, Scott Turow — sono scesi in campo contro il più potente distributore di libri del mondo. La loro lettera di denuncia contro Amazon è stata pubblicata il 10 agosto in una pagina di pubblicità a pagamento del «New York Times» e ora stanno facendo proseliti anche in Europa. Così una battaglia commerciale è diventata un vero scontro di civiltà, e poco importa se Hachette e il gruppo svedese Bonnier, con cui Amazon sta trattando in Germania, sono a loro volta due colossi editoriali, non certo due piccoli editori indipendenti.
E in Italia che cosa succede? Per ora non risuonano echi di battaglia, scrittori sulle barricate non ce ne sono, tacciono gli appelli, e non soltanto perché è appena passato Ferragosto e il mondo editoriale è ancora in vacanza. Stefano Mauri, amministratore delegato del gruppo Gems, per esempio, è in Maremma, ma per lui la questione è semplice: «In Italia Amazon non ha una posizione così forte come altrove, è ancora in una fase embrionale. Negli Stati Uniti domina il mercato editoriale, quindi ha la foza di impegnarsi in lunghe trattative, usando anche metodi estremi. Da noi non è così. Amazon qui non ha sfoderato quell’atteggiamento aggressivo che ci sta facendo conoscere. I suoi rappresentanti in Italia sono giovani brillanti, preparati, che finora hanno tenuto un comportamento collaborativo, almeno per la mia esperienza. Ci sono piattaforme peggiori, anche italiane, che ti pongono più brutalmente davanti le loro condizioni».
Nessun problema nella rinegoziazione del contratto dunque… «Per due mesi circa abbiamo avuto un calo nelle vendite, ma è spiegabile con il fatto che finché non sa quali condizioni economiche ci saranno Amazon non può programmare le promozioni». La vicenda, comunque, secondo Mauri « scopre un po’ il dietro le quinte dell’azienda modello. Cade il mantello bianco del paladino dei diritti dei consumatori e appare la realtà: è un’impresa commerciale che vuole spremere il mercato. Oltretutto Bezos come editore ha fallito. Infatti all’appello dei novecento scrittori americani, molti dei quali autori di bestseller, contrappone quella degli autopubblicati, nessuno dei quali memorabile». Mauri definisce «buffa» la ripartizione dei diritti pretesa da Amazon: «Il 30 per cento per premere un pulsante e spedire un pacco è eccessivo rispetto a ciò che comporta il lavoro dell’autore e anche dell’editore. Bezos dovrebbe mettersi in testa che i libri non crescono sugli alberi, bisogna preoccuparsi anche della loro sostenibilità. Altrimenti si troverà un terreno arido su cui non crescerà più niente».



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