Università, primato italiano imposte cresciute del 63%

Università, primato italiano imposte cresciute del 63%

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Di là, in Germania, è caduta pure l’ultima «roccaforte», la Bassa Sassonia: dal 1° ottobre l’ università è gratuita. Di qua le tasse restano. E aumentano del 63% in dieci anni.
Tedeschi o no, quando si tratta dei conti del sistema accademico l’Italia non brilla. Lo spiega un documento della Commissione europea che ha preso in esame la contribuzione studentesca, le borse di studio e le esenzioni previste nella dichiarazione dei redditi.
Ci si laurea gratis in Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia (e Germania). In Spagna per un percorso triennale si spendono 1.074 euro, in Belgio fino a 837, in Francia 183, in Gran Bretagna 11.099, tra 830 e 3.319 in Svizzera. L’Italia fa pagare in media 1.300 euro. L’Estonia, invece, spicca per la sua «originalità»: se lo studente raccoglie 30 crediti formativi in sei mesi (o 60 in un anno) non paga nulla. Altrimenti per ogni credito mancante deve sborsare 50-120 euro, a seconda del corso.
Le cose non vanno meglio alla voce «diritto allo studio». Secondo il dossier comunitario siamo il Paese che dà meno supporto finanziario (tra borse per motivi di reddito e premi per merito), se si esclude la Grecia: lo riceve soltanto il 7,5% degli studenti. Lontani dalla Francia, dove lo ottiene più di un giovane su tre. Lontanissimi dalla Danimarca dove lo Stato, oltre a non far pagare le rette, mette a disposizione fino a 9.274 euro.
E la percentuale italiana potrebbe pure diminuire — denunciano le associazioni studentesche — se va in porto un punto dello sblocca Italia che permetterebbe di far inserire alle Regioni i fondi per le borse nel patto di Stabilità.
Un’ università gratuita per tutti anche da noi? «Me lo auguro, magari non da un anno all’altro, ma per gradini», ragiona Ivano Dionigi, rettore dell’Università di Bologna, un ateneo che conta 87 mila iscritti. Sarebbe un modo, secondo il docente, «per fermare l’emorragia di studenti che non si iscrivono più nei nostri atenei e per trattenere quelli che vanno a formarsi all’estero. La fuga dei cervelli non è più solo quella dei ricercatori trentenni, ma anche dei 18-19enni». Sarebbe anche un modo «per garantire davvero il diritto allo studio: un principio costituzionale rispettato più negli anni 60-70 che oggi».
Copiare la Germania sì, ma con due precisazioni. La prima: «Il sussidio non deve essere un assegno di pre-disoccupazione, ma deve verificare che lo studente abbia un percorso regolare negli studi, che dia gli esami». La seconda: «La gratuità non si può applicare a chi ha un reddito elevato, di centinaia di migliaia di euro».
Tutto questo in tempo di crisi. «Mi rendo conto che per il Paese sarebbe un costo immediato notevole — continua Dionigi — ma si tratta di un investimento». Certo, per i tedeschi è facile. «A loro i soldi non mancano e a livello pro capite spendono più dell’Italia», aggiunge Stefano Paleari, numero uno dell’Università di Bergamo e presidente della Crui, la Conferenza dei rettori. Preso il finanziamento pubblico agli atenei nel 2012, la Germania ha dato alle sue istituzioni quasi 25 miliardi di euro, 304 per ogni cittadino. In Italia quella voce è stata di 6,6 miliardi, pari a 109 euro a testa. Un terzo. «E dal 2008 quella spesa è aumentata del 20% in Germania, ma diminuita del 14% in Italia».
Paleari non è molto d’accordo sulla gratuità. «Noi e i tedeschi abbiamo sistemi diversi e di là le tasse non sono mai state altissime». Però, se vogliamo fare come loro, «dobbiamo copiare tutto il modello, altrimenti il meccanismo salta». «Quello che ci serve nell’immediato è una stabilità del sistema contributivo — analizza Paleari —: stop a ulteriori tagli dei finanziamenti statali e di conseguenza stop all’aumento delle tasse universitarie». Un modo per concentrarsi sul diritto allo studio «che in Italia funziona male ed è insufficiente».



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