Le montagne russe del petrolio

Le montagne russe del petrolio

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Ancora una volta è Vla­di­mir Putin a dare le carte. Con il suo annun­cio a sor­presa dalla Tur­chia, di fronte ai «ritardi auto­riz­za­tivi» in Bul­ga­ria e l’opposizione di diversi paesi euro­pei, la Rus­sia si dice pronta a rinun­ciare al gasdotto South Stream pen­sato per ali­men­tare l’Europa aggi­rando l’Ucraina e pas­sando sotto il Mar Nero.

E così fa di neces­sità, det­tata dai pro­blemi asso­ciati alle san­zioni dell’Ue con­tro la Rus­sia dopo la crisi ucraina, virtù con la pro­messa di for­ni­ture aggiun­tive di gas alla Tur­chia. Que­sta si ripro­pone così come energy hub del Medi­ter­ra­neo in com­pe­ti­zione con l’Italia e l’Iran che si potrebbe riaf­fac­ciare sulla scena petro­li­fera mon­diale se finis­sero le san­zioni impo­ste da decenni qua­lora un accordo sul nucleare fosse rag­gunto nei pros­simi mesi.

Ma scan­da­gliando più in pro­fon­dità la scelta dello zar russo, è chiaro che è il prezzo più basso del pre­vi­sto di petrolio e gas che spinge ad un cam­bia­mento o una sospen­sione del pro­getto. Il South Stream è un mega inve­sti­mento supe­riore ai 30 miliardi di dol­lari, il cui finan­zia­mento è ancora incerto.

La Sai­pem che ha strap­pato un lauto con­tratto di 2,4 miliardi di dol­lari per i tubi sot­to­ma­rini si è detta sicura che il pro­getto non viola le san­zioni con­tro la Rus­sia al punto già da chie­dere alla Sace, l’assicuratore pub­blico ita­liano, una garan­zia sul pro­prio inve­sti­mento. Ma è chiaro un po’ a tutti — incluso l’Eni che com­pro­muove il pro­getto con la Gaz­prom russa, l’Edf fran­cese e la Win­ter­shall tede­sca — che l’investimento non è fat­ti­bile se il prezzo del greg­gio e del gas, inti­ma­mente legati, si man­ten­gono così bassi. Oggi 70 dol­lari al barile il petro­lio, metà del valore di picco rag­giunto solo qual­che anno fa.

Così come nel 1973 al tempo della prima crisi petro­li­fera, e del crollo del prezzo del greg­gio nel 1986, ancora una volta que­sto cam­bia le dina­mi­che geo­po­li­ti­che e geoe­co­no­mi­che dell’economia mon­diale. Il boom del gas di sci­sto negli Stati Uniti ha reso in que­sta fase gli Usa auto­suf­fi­cienti ed inte­res­sati solo al fun­zio­na­mento finan­zia­rio del mer­cato glo­bale di petro­lio e gas – vedi il pos­si­bile nuovo inter­vento in Iraq.

Que­sta sovra-produzione a fronte della crisi eco­no­mica ed il ral­len­ta­mento dei con­sumi in buona parte dell’Europa ed altrove ha spinto in basso il prezzo delle mate­rie prime petro­li­fere creando non pochi pro­blemi ai paesi pro­dut­tori di petrolio, Rus­sia in pri­mis. Ma anche al ribelle Vene­zuela sem­pre temuto a Washing­ton. Se sal­tas­sero le san­zioni con­tro l’Iran que­sto rien­tre­rebbe sui mer­cati mon­diali con una pro­du­zione più forte, che potrebbe arri­vare a pareg­giare quella del gigante dell’Arabia Sau­dita, ma con pro­fitti minori di quelli attesi ed in que­sto modo il greg­gio ira­niano libe­rato pro­ce­de­rebbe più a rilento. In que­sto sce­na­rio l’Arabia, che guida di fatto l’Opec, ha deciso di seguire le dina­mi­che del mer­cato e non inter­ve­nire sostan­zial­mente, nono­stante le dimo­stranze dei paesi che ci perdono.

L’Europa pesan­te­mente dipen­dente dall’import ener­ge­tico si com­piace della bol­letta petro­li­fera ina­spet­ta­ta­mente più bassa del pre­vi­sto e dell’aiuto che riceve nella sua ripresa eco­no­mica che tarda ad arri­vare. Rimane però il nodo dei nuovi inve­sti­menti e di chi li pagherà, se le major petro­li­fere avranno meno liqui­dità. Tutti gli inve­sti­menti non con­ven­zio­nali richie­dono nuove tec­no­lo­gie e grandi inve­sti­menti – come nel caso del gas di sci­sto in Europa e delle tri­vel­la­zioni in acqua pro­fonde. Ed anche sul fronte degli approv­vi­gio­na­menti, i costi di nuovi mega gasdotti, quali il South Stream, o il com­pe­ti­tor Tap, sono molti elevati.

Da qui il pro­ba­bile inter­vento pub­blico a livello nazio­nale, euro­peo ed inter­na­zio­nale per ren­dere di nuovo eco­no­mi­ca­mente fat­ti­bile ciò che oggi non lo è più. Que­stione pre­sente anche agli ener­gi­vori paesi emer­genti, che già inter­ven­gono pesan­te­mente con risorse pub­bli­che per garan­tire la pro­pria sicu­rezza ener­ge­tica, e si com­piac­ciono, come la Cina, del prezzo basso del greggio.

Così gli Usa si gio­cano la carta del prezzo del greg­gio nello scac­chiere mon­diale e tutti gli attori rispon­dono. È solo l’inizio di una man­che di que­sta lun­ghis­sima partita.

* Re:Common



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