I Tuareg nel Sud, le milizie sulla costa Rotte e alleanze dei «negrieri libici»

I Tuareg nel Sud, le milizie sulla costa Rotte e alleanze dei «negrieri libici»

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WASHINGTON Nei primi giorni di aprile novanta parà della Legione francese si sono lanciati sul Passo di Salvador, nel nord del Niger. Un’operazione per controllare una delle rotte usate da contrabbandieri e terroristi. Dall’altipiano desertico di Mangueni si arriva, lungo un percorso rischioso, a Sebha, nel sud della Libia. È qui che operano alcune delle organizzazioni coinvolte nel traffico di migranti diretti in Italia. Un gigantesco mercato dove gruppi e milizie si contendono, anche a colpi di mitragliatrice, il bottino. Che è, al solito, diversificato. Uomini e donne, casse di armi, petrolio. Impresa illegale unita a vecchie tradizioni di chi spesso ha campato solo di questo.
Satelliti e droni hanno puntato i loro occhi su una serie di punti d’appoggio disseminati sulla parte occidentale della Libia. Il primo è Gargaresh, un piccolo approdo nei pressi di Tripoli. Ai tempi di Muammar Gheddafi ospitava lo Yacht Club, oggi lo usano — se ne hanno bisogno — i criminali. Poi ad ovest Zawiya e l’ormai famosa Zuwara.
In quest’ultima località agiscono bande legate alla minoranza berbera degli Amazigh. Loro si giustificano: siamo stati sempre discriminati, temuti in povertà, non abbiano altro. E allora preparano le imbarcazioni per le traversate. Ora raccontano che c’è penuria di battelli, chi aveva i pescherecci li ha già usati, dunque le gang devono comprarne di nuovi che sono però costosi. Ma è grottesco sentirli piangere miseria, basta rammentare un paio di numeri: le loro vittime pagano fino a 5 mila dollari per mettere piedi in Libia ed altri 1.500 se vogliono sbarcare in Italia.
Tutto questo non potrebbe avvenire senza la complicità di chi ha i muscoli. In quest’area comandano le milizie vicine al governo di Tripoli, come la Fajr. Concede protezione, ottiene il pizzo dalle bande, usa il network per vendere il greggio sotto banco.
Situazione simile a Misurata. Le milizie hanno in mano lo scalo, un complesso notevole, ma non si preoccupano troppo di quanto avviene lungo un paio di moli. Qui — secondo indiscrezioni — comanda un ex guerrigliero, noto come Abdel Rashid. Durante la guerra contro il regime trasportava, via mare, rifornimenti per gli insorti di Bengasi. Quindi si è messo in proprio.
Spiegano che il corsaro disporrebbe di un edificio dove sono ospitati i migranti in attesa della partenza. Quando non ne ha a sufficienza li pesca nel cosidetto Centro di lotta all’immigrazione clandestina, un impianto semi-ufficiale, qui sono rinchiusi centinaia di disperati provenienti dal cuore dell’Africa. I collaboratori di Rashid visitano i profughi, si procurano i contatti dei loro familiari e poi preparano il pacchetto di viaggio. Tutto compreso, a patto di pagare il dovuto in banche tunisine e egiziane.
Non meno interessante l’aeroporto di Mitiga, vicino alla capitale e di fatto parte dell’esecutivo di Tripoli, sponsorizzato da Qatar e Turchia. È gestito dai miliziani di Abdel Hakim Belhaj, ex leader del Gruppo libico combattente, formazione di ispirazione qaedista. Tra i protagonisti dell’insurrezione, ha forti legami in Siria. Sembra che, in passato, i suoi emissari abbiano agganciato clienti nei campi profughi in Turchia e li abbiano fatti arrivare in Libia con il visto turistico. Un’alternativa costosa alla consolidata (e ben più ampia) via terrestre.
A est, a Bengasi, è rimasto il transito. Una volta era coordinato in modo quasi sfacciato dalla milizia Scudo attestata nella caserma di Kiesh. Ora la base è stata conquistata dai lealisti di Tobruk, ma sono rimasti i canali più discreti per muovere quanti arrivano dall’oasi di Kufra, il «polo sud» del racket insieme a quello di Sebha. E qui lo scenario chiama in causa etnie diverse, i Tebu e i loro rivali Tuareg. I primi sono, da sempre, molto attivi nel sud ovest della Libia, il ventre molle, con Sebha nel ruolo di area di smistamento. È la prima meta per i clandestini dell’Africa occidentale. A volte sono costretti a lunghe attese prima di essere avviati ai porti, una finestra temporale che impiegano lavorando. È così che si pagano il passaggio. Secondo una ricostruzione del Wall Street Journal i Tebu collaborano con il clan Ould Slimane, gruppo che si preoccupa di portare gli africani a Zuwara o Zawiya. Nella località di Ghat, non lontano dal confine con l’Algeria, sono invece più attivi i Tuareg.
In questo mondo di fuorilegge è evidente l’assenza di autorità. La comunità internazionale non riconosce il governo di Tripoli. La Guardia costiera libica non esiste, le poche navi che erano rimaste al Colonnello sono fuori uso. Così le milizie hanno cannibalizzato il possibile: molte torrette dotate di cannone sono state smontate dalle navi e piazzate sui camion. Ora sparano nella faida continua per il controllo del Paese .
Guido Olimpio

(Ha collaborato Farid Adly)



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