Eni e Shell in pole per rientrare in Iran I negoziati al via

Eni e Shell in pole per rientrare in Iran I negoziati al via

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Cinque giorni per arrivare a un accordo sul nucleare iraniano, ma un po’ come sta accadendo per la Grecia e i suoi creditori anche il «termine ultimo» del 30 giugno potrebbe slittare. Così vanno i negoziati internazionali, e a prospettare un ritardo di qualche giorno nella conclusione delle trattative tra il gruppo dei 5+1 e la Repubblica islamica è stato un anonimo funzionario della delegazione americana. Appuntamento comunque a Vienna, dove per il «rush» finale partirà oggi il segretario di Stato Usa John Kerry (appena ripresosi dalla rottura del femore per una caduta in bicicletta) che domani sarà raggiunto dal ministro degli Esteri di Teheran, Mohamad Javad Zarif, e dagli altri ministri.
C’è ottimismo su una conclusione positiva, ma ci sono anche diverse questioni difficili che per il momento zavorrano il negoziato. Come, ad esempio, la conoscenza precisa dello stato dell’arte delle ricerche iraniane in tema di sviluppo nucleare, che Teheran vorrebbe comunque proseguire. Come le modalità dei controlli sui siti iraniani. O quelle di eventuale «riapplicazione» delle sanzioni se l’Iran dovesse dimostrarsi inadempiente. La Repubblica islamica, da parte sua, ha insistito in caso di accordo sulla rimozione simultanea delle sanzioni dell’Occidente, condizione che difficilmente potrà essere assolta dagli Usa visto che il compito di rivedere le leggi federali spetterà al Congresso (mentre per l’Ue basterebbe il Consiglio europeo). Difficile, poi, che anche in caso positivo l’Iran possa essere rimosso dalla lista degli Stati «sponsor» del terrorismo.
Si vedrà nei prossimi giorni. Di fatto però ciò che sta avvenendo nelle ultime settimane è la corsa delle compagnie petrolifere a riaccreditarsi in vista di una possibile riapertura del ricco mercato iraniano. A bussare alla porta del ministro del petrolio Bijan Namdar Zanganeh sono stati in tanti tra Teheran e Vienna, dove il 5 giugno scorso si è riunito il cartello dell’Opec. Si va dalla francese Total all’inglese Bp, passando per l’austriaca Omv, la spagnola Repsol, la norvegese Statoil e qualche big a stelle e strisce come Conoco-Phillips. Anche la Shell, da ultimo, e l’italiana Eni lo scorso maggio. Per queste ultime c’è in ballo anche il recupero dei crediti vantati per le attività svolte nel periodo presanzioni, per le quali avevano ottenuto un «permesso speciale» da parte dell’amministrazione Usa (e un tacito assenso israeliano). Per l’Eni si trattava di 3,5 miliardi di dollari (ora il Cane a sei zampe vanta circa 800 milioni di residuo) e per la Shell di una cifra superiore ai 5 miliardi. Ma è ovvio che i contatti sono serviti a ribadire l’interesse per un rientro nel caso di caduta delle sanzioni, che potrebbero definitivamente sparire da metà 2016. Certo, tra i problemi da risolvere per il ritorno delle compagnie (e della loro tecnologia) ci sono le condizioni contrattuali, eredità del nazionalismo dello Scià e considerate poco profittevoli. Una nuova legge petrolifera è però in discussione. La società di consulenza Wood Mackenzie stima che la produzione locale possa salire dai 2,7 milioni di barili al giorno attuali a 4,4 milioni al 2025. Le riserve iraniane di petrolio e gas sono le terze al mondo dopo Russia e Venezuela, e tre quarti devono ancora essere prodotte. Ovvio che il boccone iraniano sia considerato assai succulento.
Stefano Agnoli


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