La sfida di Kunduz così i Taliban fanno paura anche all’Est

La sfida di Kunduz così i Taliban fanno paura anche all’Est

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LAHORE . All’alba del 28 settembre qualche centinaio di Taliban marciava sulla città di Kunduz, nell’Afghanistan settentrionale, incontrando scarsa resistenza da parte delle forze di sicurezza governative, stimate in circa settemila uomini. A mezzogiorno avevano conquistato metà città, liberato centinaia di altri Taliban detenuti nel carcere principale, saccheggiato le banche, gli edifici pubblici, le sedi dell’Onu e della Croce Rossa, sequestrato centinaia di automezzi e, per la prima volta dalla sconfitta subita per mano Usa nel 2001, hanno istituito un’amministrazione Taliban in una grande città.
La notizia ha avuto un impatto catastrofico sul governo tormentato del presidente Ashraf Ghani che, pur in carica ormai da un anno, non è ancora riuscito a garantire un esecutivo completo né a trovare il modo di collaborare con il suo partner politico Abdullah Abdullah. L’economia è in crisi e migliaia di afgani, molti originari di Kunduz, si trovano già in Turchia e in Grecia alla ricerca di un modo per raggiungere la Germaniacome migliaia di altri migranti.
È un colpo durissimo anche per gli Usa e per la Nato, che hanno speso miliardi di dollari nel tentativo di garantire la sicurezza in Afghanistan dal 2001 in poi, ma quest’anno avevano ritirato gran parte delle loro forze, nonostante i chiari segni di una situazione in deterioramento. Le forze Usa e Nato in Afghanistan ammontano tuttora a 9800 unità, ma il presidente Obama ne ha promesso il ritiro completo entro l’inizio del prossimo anno.
La presa di Kunduz andrà inoltre a rafforzare il mullah Mohammed Mansour, dal mese scorso nuovo leader dei Taliban. Ricompatterà i Taliban, che la controversa nomina di Mansour aveva diviso in fazioni rivali. Ormai agli oppositori non resta che accettare la nuova leadership.
È improbabile che i colloqui tra i Taliban e il governo afgano riprendano immediatamente. Con abile mossa diplomatica, Ghani ha tentato di ingraziarsi il Pakistan, paese in cui ha base la maggioranza dei leader Taliban. Una tornata di colloqui di pace tra i Taliban e il governo di Kabul, tenutasi nel luglio scorso sotto egida pachistana e cinese, non è riuscita a produrre risultati positivi. Una nuova tornata negoziale, al momento, è ancor meno probabile.
Tuttavia la caduta della città di circa 300.000 abitanti non è stata una sorpresa. I Taliban occupano da tutto l’anno in corso il 70% della provincia di Kunduz e, in giugno, hanno lanciato un attacco per conquistare la città, poi fallito. Da allora le loro forze sono rimaste stanziate in villaggi a sole cinque miglia da Kunduz senza che l’esercito afgano, la polizia e Ie amministrazioni locali, che nel complesso superano largamente le forze Taliban, abbiano tentato la controffensiva. Ora i Taliban hanno bloccato le strade da Kabul e Mazar-e-Sharif fino a Kunduz, per far sì che i rinforzi inviati dal presidente Ghani non possano raggiungere la città.
L’impatto della caduta di Kunduz sulla regione è ancora più preoccupante. Molti dei combattenti Taliban non sono afghani, bensì uzbeki, tagiki, turkmeni, kirghisi e kazaki, originari delle cinque repubbliche dell’Asia centrale che hanno combattuto per i Taliban all’interno dei loro rispettivi movimenti, ad esempio il Movimento Islamico dell’Uzbekistan, l’Unione della Jihad islamica e Jamaat Ansarullah. Ci sono ceceni e daghestani del Caucaso e musulmani cinesi militanti, gli Uighuri, che combattono per i Taliban sotto la bandiera del Movimento islamico del Turkestan orientale, ma puntano a liberare dal controllo cinese la loro patria, la provincia occidentale dello Xinjiang. Ci sono elementi di Al Qaeda e dello Stato islamico e centinaia di combattenti pachistani, appartenenti a svariati gruppi.
Da 10 anni a questa parte i militanti fanno base nelle aree tribali ai confini pachistani. Dal giugno 2014 sono stati gradualmente estromessi con la forza dall’esercito pachistano, che con l’operazione militare Zarb-e-Azb tesa a schiacciare i Taliban pachistani, ha spinto i jihadisti stranieri a fuggire in Afghanistan con le famiglie.
L’esercito afgano non ha fatto alcun tentativo di accerchiarli e, nel giro di qualche mese, si sono riorganizzati per conquistare territori strategici nell’Afghanistan settentrionale e orientale. Il loro obiettivo è conquistare l’Asia Centrale e istituirvi un Califfato.
Se i Taliban e i loro alleati manterranno il controllo di Kunduz, nonostante la con- troffensiva del governo, (sostenuta dalle forze speciali di Usa, Gran Bretagna e Germania e da raid aerei della missione a guida americana,
ndr ), l’intera Asia Centrale sarà in pericolo. Kunduz costituirà una base operativa ideale, da cui i militanti potranno inviare combattenti, esplosivi e denaro, per destabilizzare la Cina occidentale e i cinque stati dell’Asia Centrale. La Russia, che dispone di settemila militari di stanza nel Tagikistan meridionale, sarà presto coinvolta, al pari della Cina e crescerà il rischio che il terrorismo si intensifichi e che il conflitto regionale si ampli.
La presa di Kunduz rientra nella strategia che ha visto i Taliban conquistare recentemente le province di Badakshan, Kunar e Nuristan, nell’Afghanistan nord orientale, che confinano con il Pakistan e la Cina e consentono facile accesso al Tagikistan e all’Asia centrale. È già attivo un flusso incontrastato di militanti, droga, denaro e armi che attraversa la regione in lungo e in largo, incurante dei confini nazionali. Al Qaeda dispone già di una importante base in quest’area, al pari dei gruppi dell’Asia Centrale e dei Taliban pachistani.
Gli Usa mostrano scarso interesse a mantenere la propria presenza nella regione. La Russia e la Cina avranno anche enormi eserciti in grado di accorrere in aiuto all’Asia Centale e allo Xinjiang minacciati, ma i jihadisti sono molto abili nella guerriglia prolungata e nel terrorismo, che getterà nel panico la popolazione, minaccerà la crescita economica e porterà a ulteriori migrazioni dalla regione. Se non si presterà maggiore attenzione alla regione, nel prossimo futuro potremo attenderci ulteriori conquiste Taliban.
(Traduzione di Emilia Benghi)
* Ahmed Rashid è un giornalista e scrittore pachistano: è uno dei massimi esperti mondiali di Afghanistan e Pakistan. “Caos Asia” è il suo ultimo libro uscito in Itaia
 


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