Il drago cinese, tra soft power, “falchi” e nuovi armamenti

Il drago cinese, tra soft power, “falchi” e nuovi armamenti

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(dal Rapporto sui Diritti Globali 2012)

 

 

 

Nuovi programmi militari, interruzione delle comunicazioni con gli USA su Taiwan e Tibet, crescenti tensioni con i vicini che affacciano sul Mare Cinese Meridionale e l’India, numerose ostilità in Africa. La Cina fa paura? Gli Stati Uniti hanno già cominciato a riposizionarsi verso il gigante asiatico. Alessandra Cappelletti, ricercatrice, ci aiuta a fare il punto sulla situazione e sul ruolo cinese nel quadro della ridefinizione degli scenari globali.

 

 

Redazione Diritti Globali: Il 2011 è stato caratterizzato da una successione di cesure e continuità rispetto al tradizionale atteggiamento verso la comunità internazionale. Il 2012 si è aperto con notizie che hanno disorientato osservatori e analisti: nuovi programmi militari, interruzione delle comunicazioni con gli USA su Taiwan e Tibet, crescenti tensioni con i vicini che affacciano sul Mare Cinese Meridionale e l’India, numerose ostilità in Africa. Partiamo dalla politica estera cinese.

Alessandra Cappelletti: Non trattandosi di un singolo episodio, ma di una serie di tensioni che hanno in parte allontanato l’immagine del Paese da quel modello di potenza pacifica che la linea ufficiale propone, è necessario passare in rassegna alcuni tra i più importanti accadimenti dell’anno passato. La visita del segretario alla difesa Robert Gates a Pechino, ricevuto da Hu Jintao nel gennaio 2011, ha fatto riflettere sulle relazioni tra ranghi militari e civili, e sulle relative scelte di politica estera. Gli alti quadri dell’Esercito di Liberazione Popolare (ELP) non sono mai stati propensi al dialogo con la controparte americana, essendo la loro linea caratterizzata da uno spiccato nazionalismo che tende a non cercare cooperazione. Non è un caso se tutto ciò che riguarda gli armamenti e la politica militare di Pechino è considerato un delicato segreto di Stato. Secondo i media anglosassoni, sono state le ripetute richieste dei vertici militari USA a fare breccia, ottenendo la possibilità di un ricevimento ad alto livello dopo almeno tre anni di insistenti richieste. In agenda, una maggiore trasparenza sul veloce programma di sviluppo degli armamenti in Cina, e la discussione su un’eventuale cooperazione futura. Tutto questo rappresenta una richiesta americana di fare chiarezza sui programmi militari di Pechino, e la ricerca di un dialogo su quelle situazioni che, militarmente, sono considerate suscettibili di sfociare in conflitti. Ciò che Washington sta cercando di sondare è la reale aderenza della Cina all’immagine di un Paese in ascesa, che fa leva su un soft power dallo status ancora incerto, e se la Repubblica Popolare è davvero quella potenza pacifica e gradualista che sta tentando di incarnare. Lo stesso giorno della visita del Segretario alla difesa USA è stato è stato effettuato il primo volo test dello Stealth J-20 di fabbricazione cinese, il caccia invisibile ai radar. I commenti ammirati ed entusiasti apparsi sui microblog cinesi, come Weibo e Sina, hanno fatto da cornice. Il volo test è stato percepito dagli americani come una dimostrazione di forza, per questo Gates ne ha chiesto conto direttamente a Hu Jintao durante l’incontro. A quanto hanno riferito i portavoce, nessuno in sala, presidente compreso, era al corrente dell’operazione, nonostante Hu Jintao annoveri tra le sue cariche anche quella di presidente della Commissione militare centrale. Sebbene la maggior parte degli analisti e commentatori abbiano letto l’episodio come una plausibile conferma dello scollamento tra i vertici militari e quelli civili della Repubblica Popolare, e del potenziale conflitto di vedute tra i due (falchi e liberali rispettivamente), questa estraneità potrebbe anche essere letta semplicemente come volontà di non discutere della questione nel corso di un evento ufficiale, durante il quale, secondo l’etichetta cinese, si sarebbe dovuta mantenere l’attenzione esclusivamente sui temi di routine. Il test di volo dello Stealth era evidentemente considerato un argomento delicato. Le novità in materia di armamenti, che includono l’acquisto di una fregata con il missile balistico anti-nave DF 21D a medio raggio e il dispiegamento della prima portaerei, l’invio di truppe in Libia per tutelare l’incolumità dei 35.000 cittadini cinesi nel Paese e un maggiore dispiegamento di missili contro Taiwan per far fronte a un’eventuale escalation delle tensioni con l’isola, fanno pensare a una Cina più assertiva militarmente, in deroga alle politiche di non ingerenza e soft power che contraddistinguono la linea del governo. Per contro, la posizione sulla Siria si è rivelata coerente con la filosofia della politica estera cinese. La rivoluzione dei gelsomini ha letteralmente allarmato Pechino, che ha sempre avuto un rapporto conflittuale con il mondo di internet e della libera e anonima espressione attraverso i social network, temuti strumenti di diffusione del dissenso. Proprio in quell’occasione le misure di controllo e censura online si sono intensificate, e quando si è trattato di votare sull’embargo alla Siria la Cina si è allineata alla posizione russa secondo il principio di non ingerenza. Pechino è restia a semplicistiche associazioni con Mosca, e nello stesso tempo non è d’accordo con il modus operandi dei Paesi occidentali e con il principio di “esportazione della democrazia”. Inoltre, la memoria storica del bainian chiru ????, il “secolo di vergogna e indignazione”, di assoggettamento del Paese alle potenze straniere iniziato con le guerre dell’oppio a metà Ottocento e conclusosi con la proclamazione della RPC il 1° ottobre 1949, rende i vertici cinesi estremamente restii ad assumere atteggiamenti aggressivi.

Si può comunque notare che la heping jueqi ????, la teoria dello “sviluppo pacifico”, che prevede un’ascesa politico-economico-militare non minacciosa della Cina, e che rappresenta un’opportunità per gli altri Stati, viene periodicamente reinterpretata a seconda dello specifico caso in questione, e sarà probabilmente messa sempre più in discussione mano a mano che il Paese assumerà un ruolo sempre più importante nelle questioni internazionali, e che i suoi cittadini saranno sempre più presenti, con posizioni di rilievo, nei Paesi stranieri.

Detto ciò, la Cina continua a operare sullo scacchiere internazionale soprattutto con una politica estera giocata a colpi di accordi commerciali e investimenti in infrastrutture, stipulati secondo il principio della non interferenza nelle questioni politiche dei Paesi partner. È la cosiddetta “diplomazia commerciale”. A parte alcune eccezioni, tra cui la minaccia di recidere le relazioni diplomatiche con lo Zambia da parte di un diplomatico dell’ambasciata cinese nel caso Michael Sata fosse stato eletto presidente nel 2006, Pechino è riuscita a tenere fede alla sua posizione di principio. Gli interessi in materia di risorse naturali e investimenti in progetti, soprattutto nel campo delle infrastrutture, portano la diplomazia commerciale cinese in Asia Centrale, soprattutto nelle Repubbliche ex sovietiche, cui Pechino è legata attraverso la Shanghai Cooperation Organisation (SCO). Di questo organismo sovranazionale fanno parte come membri permanenti Cina, Russia, Khazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Uzbekistan, mentre i membri osservatori sono India, Iran, Mongolia e Pakistan. Proponendosi come controparte della NATO, la SCO prevede accordi politici, commerciali e militari, e gli interessi cinesi si manifestano soprattutto attraverso accordi commerciali e sulla difesa dei confini, soprattutto in considerazione del timore di infiltrazioni di radicalismi islamici e armi attraverso le frontiere con Pakistan e India. La diplomazia commerciale è impegnata dunque su vari fronti: dall’Asia Centrale all’America Meridionale, dall’Africa ai Paesi arabi e del Sud-Est asiatico. Puntando su offerte economicamente vantaggiose, possibili anche grazie all’utilizzo di lavoro a basso costo, sono le imprese cinesi che si aggiudicano i contratti migliori e più strategici sui mercati internazionali. I contratti stipulati da colossi statali, come CNOOC (China National Offshore Oil Corporation), SINOPEC (China Petroleum and Chemical Corporation) e Sinohydro (la società che realizza dighe), soprattutto in Africa e America Latina, ne sono un esempio. Nel 2011, Sinohydro era operativa con grossi progetti in 55 Paesi del mondo. La presenza cinese negli USA si manifesta invece con la proprietà della maggioranza dei buoni del tesoro statunitensi: nel maggio 2011 la Bank of China possedeva l’8% del debito pubblico americano. La crisi del debito in Europa è invece stata affrontata con una diversa strategia di investimento, ovvero non si sono acquistati titoli di Stato, operazione ritenuta troppo pericolosa e delicata sia per l’instabilità dell’euro che per il timore di suscitare preoccupazione da parte americana, ma si è operato soprattutto attraverso il fondo sovrano cinese, China Investment Corporation (CIC). Il CIC ha principalmente acquistato imprese o parti di esse in crisi, riconfigurando i managements e le geografie proprietarie. L’operazione più controversa è stata effettuata in Grecia, dove la COSCO, China Ocean Shipping Company, ha acquistato i diritti di utilizzazione di parte del porto del Pireo per 30 anni, assicurandosi un canale diretto verso i mercati dei Balcani e dell’Europa meridionale. Nonostante le denunce dei sindacati dei portuali greci passati sotto il management cinese, i dati parlano di un’attività migliorata del porto e di stipendi solo leggermente inferiori a quelli che il management locale si potrebbe permettere.

Il nuovo ruolo cinese come futura superpotenza sta portando a una sempre più sofisticata e strategica articolazione della politica estera del Paese, nel cui ambito rientrano anche le attività culturali e politiche, nota fondamentale del soft power cinese. La cosiddetta “diplomazia culturale”, wenhua waijiao ????, implica l’impegno ad accrescere la statura e l’attrattiva della civiltà cinese sia in Asia orientale sia nel resto del mondo. Tra tutte le iniziative che rientrano in queste politiche, quella della diffusione della lingua e della cultura rappresenta senza dubbio uno degli elementi chiave dell’accresciuta influenza internazionale di Pechino. Infatti, negli ultimi anni la Cina ha fatto grossi investimenti nella promozione dello studio della lingua e della propria cultura: un importante contributo su questo fronte è stata la costituzione di una rete mondiale di Istituti Confucio (Kongzi xueyuan ????), ovvero centri per l’insegnamento di lingua e cultura cinesi che Pechino spera possano diventare strumenti effettivi della diplomazia culturale della RPC, come lo sono il British Council per il Regno Unito, il Goethe Institut per la Germania, l’Alliance Française per la Francia, l’Istituto Cervantes per la Spagna e l’Istituto italiano di cultura per l’Italia. Nel 2009 gli Istituti Confucio erano 282, distribuiti in 88 Stati, mentre nel solo 2011 ne sono stati inaugurati alcune decine. Sempre sul fronte della diffusione della lingua, negli ultimi anni si è registrata un’impennata a livello mondiale delle iscrizioni al test per la certificazione della lingua cinese, l’HSK (Hanyu Shuiping Kaoshi ??????), l’equivalente del TOEFL. Significative anche le campagne per lo “studio del soldato Lei Feng” in Africa, dove recentemente si è manifestata ostilità verso i manager e i lavoratori cinesi in diverse aree del continente, tra cui Zambia e Sudan. Lei Feng è un giovane eroe dell’ELP, esempio di moralità pubblica, patriottismo e devozione al Partito, figura le cui gesta sono generose e disinteressate, “al servizio del popolo” senza chiedere nulla in cambio.

RDG: A livello di politica interna, invece, quali sono state le decisioni importanti del 2011?

AC: Il governo Hu-Wen si distingue per un’attenzione speciale alle questioni delle disparità interne al Paese e alle diverse regioni, e le campagne politiche del 2011 hanno enfatizzato il concetto di xiao kang ??, che significa “benessere moderato e diffuso”. Questa campagna di sensibilizzazione è stata portata avanti a livello nazionale, e, secondo Pechino, sarebbe dovuta servire a ridimensionare le aspettative della popolazione rispetto agli standard di benessere. In considerazione della crisi economica, che ha parzialmente coinvolto e colpito l’economia del Paese, l’obiettivo delle famiglie non deve più essere la ricchezza tout court, ma la rassicurante agiatezza da classe media. È proprio questa classe media, prima inesistente in Cina, che si sta velocemente formando e che rappresenta il gradino intermedio tra poverissimi e ricchissimi. In un Paese che ha bisogno di stabilità sociale, funzionale a una crescita di lungo periodo, la classe media rappresenta una sicurezza, poiché le sue rivendicazioni politiche e sociali non andranno mai oltre il limitato concetto di xiao kang.

Questo benessere da classe media deve raggiungere le parti più remote del Paese, dove una parte della popolazione vive ancora con meno di un dollaro al giorno, superando la soglia di povertà stabilita dai parametri ONU. Il 2011 ha dunque rappresentato il culmine di una vasta operazione di ingegneria sociale mirata a riequilibrare la geografia interna dello sviluppo economico e sociale. La nuova politica di sviluppo delle regioni rimaste indietro rispetto alla Cina sud-orientale è cominciata nel 2000 con la Campagna per lo sviluppo dell’ovest, ha progressivamente inglobato le aree dell’interno, e i suoi obiettivi si sono concretizzati nel corso dell’anno passato. Ingenti investimenti in infrastrutture, educazione, campagne politiche e settore immobiliare stanno ancora interessando le regioni occidentali ed interne: Xinjiang, Tibet, Gansu, Qinghai, Sichuan, Yunnan, Shanxi, Hubei, Henan; sono solo alcune delle regioni in cui il governo ha deciso di investire, con una particolare attenzione alle aree strategiche per lo sviluppo interno, come il Xinjiang (dove sono state create due zone economiche speciali, una a Kashgar e una nel passo dell’Horgos ai confini con il kazakhstan) e lo Shanxi, ricche rispettivamente di petrolio e carbone, il Tibet per le sorgenti dei più grandi fiumi dell’Asia, il Sichuan e lo Yunnan per la posizione geografica di ponte per l’Asia meridionale. Il risultato di questi investimenti è stato un potente spostamento di progetti, lavoratori e capitali da sud-est verso nord-ovest. Le ricche aree costiere, come le prime zone economiche speciali di Shenzhen, Xiamen, Shantou e Zhuhai, e le città di Shanghai e Canton, stanno dunque subendo un rallentamento nella crescita dovuto a quattro principali fattori: i piani del governo di cui abbiamo parlato, il calo delle esportazioni dovuto alla crisi economica globale, l’esodo dei lavoratori verso le nuove aree di sviluppo, la richiesta di aumenti salariali e migliori condizioni sul lavoro da parte di coloro che restano. Il manifatturiero della zona di Shenzhen è alla costante ricerca di operai tessili, mentre una grossa percentuale di piccole e medie aziende ha già delocalizzato la sua produzione all’estero, principalmente nel sud-est asiatico. Mantenere attività a basso valore aggiunto o aprirne delle nuove è diventato troppo oneroso e rischioso. Il piano del governo per queste aree è creare distretti industriali per produzioni ad alta tecnologia e valore aggiunto, che generalmente prevedono una bassa intensità di lavoro, comunque qualificato. Il problema che rimane da risolvere è dove ricollocare quei lavoratori non specializzati, per l’80% provenienti dalle campagne dell’interno, che sono rimasti senza lavoro in seguito alla chiusura delle imprese del manifatturiero, che non sono riusciti a tornare nelle rispettive aree di origine per mancanza di soldi o prospettive, e ai quali non rimane che delinquere nei sobborghi urbani del sud-est. I più fortunati sono riusciti a tornare nei villaggi d’origine per il capodanno cinese, e, secondo i dati ufficiali, il 20% non è tornato indietro. Trovare un lavoro magari meno retribuito, ma comunque vicino a casa, è diventata un’opzione interessante per questi lavoratori.

Gli ingenti investimenti nelle regioni centrali e del nord-ovest hanno attratto i lavoratori migranti nell’ordine di milioni: la situazione sta creando tensioni e scontri soprattutto nelle aree abitate da minoranze. Il sud del Xinjiang, la cui popolazione è musulmana turcofona, è periodicamente interessato da scontri tra la maggioranza uigura e i migranti han: i dati ufficiali parlano di 40 morti nell’estate 2011, 20 morti lo scorso febbraio. In questa regione i migranti sono percepiti come occupanti che usufruiscono di tutti i vantaggi del piano di sviluppo, per questo gli scontri sono all’ordine del giorno, anche se spesso non vengono riportati dai media. La stessa situazione è riscontrabile in Tibet e nelle aree tibetane del Qinghai, Sichuan e Gansu, dove il modello di sviluppo applicato è percepito estraneo e distruttivo per le culture locali. Nonostante questo, il processo di urbanizzazione procede, ed è visibile nelle periferie delle grandi città, dove stanno sorgendo cittadelle di cemento armato costituite da grattacieli a trenta piani. Anche il piano di sedentarizzazione delle popolazioni nomadi è arrivato alla sua fase definitiva, con centinaia di migliaia di famiglie sedentarizzate in Mongolia, Xinjiang e Tibet.

L’imperativo a “spendere ed essere felici” è stato comunque il leitmotiv del 2011, un anno che ha visto le autorità di Pechino preoccupate per l’aggravarsi della crisi economica e per l’impatto della situazione in Cina. Senza poter contare più molto sulle esportazioni, il governo ha lanciato una serie di piani di stimolo per promuovere il consumo interno. I passi avanti fatti nel settore della sanità, delle pensioni e dei servizi sociali in senso lato, sono funzionali a un piano di creazione di una coscienza capitalista in una popolazione che si vuole rendere sempre più incline alla spesa in beni di consumo. Secondo Pechino, questa è la strada per mantenere intatto il tasso di crescita del PIL, che nel 2011 si è attestato a 9,3%.

RDG: Difficile evidentemente fare previsioni per il 2012. Ma che anno ci si può aspettare in materia di politica estera, anche alla luce delle elezioni che si terranno a ottobre 2012, un mese prima della sfida per la Casa Bianca.

AC: Il 2012 è identificato in Cina e all’estero come l’anno del drago. Animale mitico della cosmologia cinese, rappresenta l’Oriente e la sua energia. Il drago è rappresentato ovunque: dai francobolli alle carte di credito della Bank of China, dalle buste per la spesa ai manifesti di buon augurio. Mentre per i cinesi il drago è un animale positivo e simpatico, per noi occidentali è una figura aggressiva: a Pechino l’hanno capito e, prima del Capodanno cinese, il 23 febbraio, è stato diffusa la direttiva di renderlo iconograficamente rassicurante, come per non destare inutili preoccupazioni tra i membri della già inquieta comunità internazionale. Pechino ci dice di non preoccuparci, la Cina sarà una potenza energica, ma bonaria e comprensiva come il drago che la rappresenta. Del resto, nonostante gli scandali alimentari, il problema ambientale e le tensioni nelle aree abitate da minoranze, Pechino è impegnata nella costruzione di una società armoniosa, heping shehui ????, che prevede una sempre maggiore attenzione alle disuguaglianze tra ricchi e poveri e alle problematiche sociali proprie di un Paese ormai dominato dalle dinamiche di mercato.

Detto ciò, il 4 marzo del 2012 la BBC News apre con una notizia allarmante: il budget per le spese militari di Pechino aumenterà dell’11,2% nel 2012, arrivando a più di 100 miliardi di dollari, per la prima volta nella storia cinese. In questo modo la Cina diventerà il Paese con il maggior budget per le spese militari dopo gli USA. Cosa bisogna aspettarsi? Sicuramente un Paese molto attento a ciò che gli americani faranno nel Pacifico, area di influenza statunitense ma anche cinese, e antenne rivolte verso Taiwan, soprattutto dopo che l’Amministrazione Obama ha riconfermato il suo aiuto all’isola per il rinnovo dell’apparato militare. Verso ovest, un’intensificazione dei rapporti con i Paesi centroasiatici sarà funzionale alla crescente necessità di risorse naturali, soprattutto petrolio e gas, mentre un’escalation delle tensioni in Tibet e Xinjiang, regioni interessate, a inizio 2012, da conflitti e contestazioni, porteranno a una rinnovata attenzione per la questione del rispetto dei diritti umani, della libertà di culto e di autodeterminazione. Proprio in questo senso si intravedono deboli spiragli: durante il Congresso Nazionale del Popolo del marzo 2012 è all’ordine del giorno una legge che obbliga le forze di polizia a informare le famiglie, entro 24 ore dall’arresto, di coloro che vengono detenuti. I media stranieri hanno sempre riportato casi di persone “scomparse” dopo essere state prese in custodia dalla polizia. Ora questo non potrà più succedere, a meno che il reato commesso abbia direttamente a che fare con terrorismo o attentato alla sicurezza nazionale. Anche se la legge in Cina non possiede quella perentorietà che la caratterizza in Occidente, e il corpus di leggi cinesi viene spesso non considerato, il fatto che si metterà nero su bianco una legge che prevede un diritto del cittadino che ha commesso reato non appartiene all’usuale forma mentis del governo, che considera i cittadini una sua proprietà. Basti ricordare che un critico del governo cinese come l’architetto Ai Weiwei, conosciuto ormai in tutto il mondo, nell’aprile 2011 è stato arrestato e tenuto in un luogo segreto per 81 giorni.

Nello stesso tempo, si dovrà tentare di trovare una soluzione per alcune delle problematiche più urgenti a livello sociale: con il boom economico il valore dei terreni sta aumentando progressivamente, non solo nelle grandi città ma anche nelle aree periferiche. Le lucrose possibilità di investimento attraggono i developers che stanno acquistando terreni in tutte le regioni cinesi, sia per edificare che per adibirli ad agricoltura intensiva. In Cina la terra è tutta di proprietà statale, quindi quando si “acquista” in realtà di sta ottenendo un permesso a utilizzarla per un tempo specificato in due documenti: il certificato attestante il diritto di utilizzo dei terreni e il contratto tra il proprietario (nelle campagne di solito è il Comitato di villaggio o la municipalità) e chi acquista i diritti. L’avanzata dei developers è una minaccia soprattutto per i contadini che coltivano piccoli appezzamenti. Questi sono generalmente sprovvisti dei documenti necessari ad attestare il loro diritto a coltivare la terra: da una parte, sono loro stessi che non li richiedono, convinti di essere in buone mani, e che le autorità locali non danneggerebbero mai gli interessi della popolazione, dall’altra, la responsabilità è delle autorità locali, che non rilasciano i documenti perché vogliono negoziare direttamente con i developers, e operare senza il rischio che i contadini facciano appello ai documenti. Questi ultimi, infatti, riportano le norme relative ai diritti di coltivazione della terra, che devono essere garantiti per un periodo non inferiore ai 30 anni. La negoziazione si svolge generalmente tra il developer e l’autorità locale, che cede gli appezzamenti a prezzi molto alti, espropria il contadino con un compenso irrisorio, e tiene per sé il denaro rimanente. Queste dinamiche di “land grabbing” stanno creando instabilità in diverse aree della Cina, dal Guandong al Xinjiang, attraverso tutto il Paese. Le periodiche proteste, spesso violente, cominciano a preoccupare le autorità e a mettere in questione un modello di sviluppo imposto dall’alto e in balia delle lobby di costruttori e grandi imprese statali.

Sempre in relazione al modello di sviluppo, uno dei problemi più pressanti è quello ambientale. Le sorgenti dei fiumi più importanti dell’Asia, tutti aventi origine in Tibet, sono inquinate dai nuovi impianti industriali costruiti nella regione. Fiumi e coste hanno raggiunto un livello di inquinamento tale da allertare le autorità, che stanno finanziando, più che in ogni altro Paese, gli studi sulle energie alternative. L’inquinamento dell’aria e dei terreni è evidente nelle grandi città: il Beijing air quality monitoring system dell’ambasciata americana di Pechino, che controlla i livelli di PM 2,5 nell’aria, oscilla costantemente tra i livelli “hazardous” e “beyond limit”. L’utilizzo del carbone per i riscaldamenti, di carburanti altamente inquinanti per i veicoli, e i numerosi cantieri in continua attività nella parte centrale della città, sono tutti fattori che incidono pesantemente sulla qualità dell’aria. L’aumento di tumori e malattie alle vie respiratorie sta creando una forte preoccupazione tra la popolazione, tanto che alcuni tra i residenti stranieri decidono di lasciare la Cina per questo motivo, e i cinesi stessi provano a emigrare. A fine 2011 è scoppiato uno scandalo perché una fonte anonima ha rivelato che negli uffici di Zhongnanhai, la parte della Città proibita dove risiedono e lavorano i massimi vertici politici del Paese, sono state installate apparecchiature per la pulizia dell’aria e ionizzatori.

Per quanto concerne la diplomazia commerciale, a livello regionale, gli analisti cinesi si soffermano sull’importanza di rafforzare la cooperazione con le organizzazioni regionali, come il meccanismo dell’ASEAN+3, l’ARF(ASEAN Regional Forum) e la SCO. Inoltre, il renminbi diventerà una moneta sempre più internazionale. Proprio in questi giorni (8 marzo 2012) si è firmato un accordo che prevede che le operazioni commerciali e di diversa natura tra i BRIC siano effettuati in valuta locale. L’iniziativa di far riunire le più alte istituzioni finanziarie di Brasile, Russia, India e Cina è stata proprio della China Development Bank, con l’intento di fare assumere una rilevanza internazionale alla moneta cinese. Generalmente, effettuare operazioni commerciali nella propria moneta costituisce un grosso vantaggio perché mette la controparte nelle condizioni di assumersi il rischio in caso di fluttuazione di valuta.

Nel 2012 non bisogna comunque aspettarsi politiche assertive o radicali: il prossimo ottobre si eleggerà il nuovo governo, Hu Jintao e Wen Jiabao lasceranno le redini del potere al successore Xi Jinping, una figura più legata ai ranghi militari e con un approccio più nazionalista. Dunque, nonostante le richieste degli USA di aderire alle regole del WTO e non innalzare barriere fiscali sui prodotti importati dall’estero, quelle della Banca Mondiale di cominciare a smantellare il potente apparato di imprese statali che dominano il mercato cinese e le sue politiche commerciali verso l’estero, e le insistenti pressioni del Fondo Monetario Internazionale per una maggiore liberalizzazione dei prodotti finanziari, per assistere a cambiamenti, sia nella direzione dell’apertura, sia in quella del mantenimento dello status quo, dovremo aspettare il cambio di potere, con un occhio vigile sulla politica interna. Prima di tutto, le aree abitate da minoranze sono problematiche e per il momento non è stato trovato un meccanismo socio-politico di mediazione del conflitto, si continuerà con la repressione? Inoltre: all’interno del governo prevarrà la corrente nazionalista e protezionista oppure quella più aperta e liberale? E se prevarrà quest’ultima, quale sarà il rapporto del futuro presidente e dei ranghi militari con le correnti riformatrici e i ranghi civili? E l’impatto sulla politica estera?

Nel frattempo, durante l’Assemblea nazionale del Popolo è stata resa pubblica la stima di crescita del PIL per il 2012: un “modesto” 7,5% che garantirà comunque un rinnovato consenso popolare in nome di un “benessere moderato e diffuso”.

 



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