Aleppo e Mosul, due facce dello stesso conflitto. E la Turchia fa da “ponte” bellico

Aleppo e Mosul, due facce dello stesso conflitto. E la Turchia fa da “ponte” bellico

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Aleppo e Mosul sono facce della stessa medaglia, quella della ridefinizione dei confini e le aree di influenza in Medio Oriente. Difficile separare la guerra civile in corso in Siria con l’operazione lanciata lunedì su Mosul: gli attori in campo sono quasi gli stessi, le conflittuali agende anche. Uno dei “ponti” tra le due città è la Turchia e l’interventismo bellico scelto da Erdogan come strategia politica.

Ieri il primo ministro turco Yildirim ha annunciato il nuovo livello raggiunto dalle truppe turche in Iraq: «La nostra aviazione prende parte alle operazioni aeree della coalizione a Mosul». Ora, dunque, non ci sono solo un migliaio di soldati a dieci chilometri dalla città ma anche i caccia. L’obiettivo è avere un ruolo di primo piano nel futuro della città, facendosi aprire la porta dalla Erbil del presidente Barzani, ed escludere le milizie sciite legate all’Iran.

Un’agenda palese che provoca la reazione del religioso sciita Moqtada al-Sadr: il leader delle Brigate della Pace ha chiamato alla protesta davanti all’ambasciata turca a Baghdad e ieri in 10mila hanno risposto all’appello. I manifestanti hanno chiesto il ritiro turco dalla base di Bashiqa e una posizione più ferma del proprio governo in merito.

Ma Baghdad preferisce una soluzione più morbida: una delegazione governativa volerà in Turchia nel fine settimana per spegnere le tensioni tra i due paesi. Sul tavolo delle offerte Baghdad potrebbe mettere il freno alle milizie sciite, incorporate nell’esercito e da questo stipendiate perché essenziali sul piano militare, ma problematiche su quello settario.

Ieri è stata Amnesty a tornare sugli abusi commessi contro le comunità sunnite liberate dall’Isis e finite dentro un altro incubo. Se dovesse succedere anche a Mosul, e Baghdad lo sa bene, le tensioni settarie potrebbero far crollare la speranza di mantenere intatti i confini nazionali, a favore delle forze che premono per una divisione del paese (Stati Uniti e Turchia in testa).

Sul campo, intanto, le operazioni rallentano: la 9° Divisione dell’esercito iracheno si è avvicinata alla città cristiana di Qaraqosh (da cui i residenti fuggirono in una sola notte verso il Kurdistan iracheno) e il fronte anti-Isis ha liberato una ventina di villaggi a sud, dove operano i governativi, e ad est, dove avanzano i peshmerga. Ma si trova davanti alla resistenza islamista nella periferia est di Mosul, portata avanti con una decina di attacchi kamikaze.

In città il “califfato” sta innalzando barricate e riempiendo le trincee di benzina, a cui dare fuoco per rallentare la futura avanzata governativa. Ma si prepara anche a fuggire, raggiunto il punto di non ritorno: secondo il piano della coalizione internazionale, i fronti di attacco saranno a nord, sud e est, lasciando aperto il lato occidentale. Una sorta di corridoio per la fuga, l’evacuazione dei 3-5mila miliziani presenti, che saranno naturalmente diretti verso la Siria come già accade da settimane.

La denuncia arriva anche da Damasco che accusa la coalizione di aver previsto un passaggio sicuro degli islamisti dentro il territorio siriano. Tutti verso Raqqa dove, più che ingabbiati, potrebbero essere liberi di rafforzare le difese della loro “capitale”, per la cui liberazione i progetti non sembrano concretizzarsi. Per gli attori della guerra civile siriana è più importante Aleppo, la città che deciderà il conflitto.

La Russia continua a ballare da sola: dopo il fallimentare incontro di Losanna, lo scorso sabato, Mosca ha deciso insieme a Damasco di interrompere i raid sui quartieri orientali in mano alle opposizioni: nessun bombardamento in vista della pausa militare di otto ore prevista per domani. Due gli obiettivi, dice il Ministero della Difesa russo: permettere ai civili di uscire in sicurezza dalla zona est e garantire il passaggio dei miliziani che si arrenderanno.

Mosca si fa forte dell’accordo che avrebbe raggiunto con il fronte anti-Assad (Turchia, Arabia Saudita e Qatar) perché costringa i gruppi ribelli alleati a rompere le relazioni con l’ex al-Nusra. A renderlo noto è l’ambasciatore russo all’Onu che lunedì ha riportato di un accordo tra i tre paesi, la Russia e gli Stati Uniti: «Hanno espresso la loro intenzione a lavorare con le opposizioni moderate così che si separino da al-Nusra», ha detto Churkin.

Ma ieri è giunta la reazione delle opposizioni: Ahrar al-Sham, gruppo salafita invitato al negoziato di Ginevra, e Fastaqim, parte dell’Esercito Libero Siriano, hanno rifiutato la proposta e negato qualsiasi ritiro da Aleppo. Dichiarazioni che portano l’Onu a precisare di non poter intervenire con corridoi umanitari o consegna degli aiuti visto il mancato accordo tra le parti.

Rifiutano anche Washington e Londra: Usa e Gran Bretagna hanno rigettato l’offerta russa di una pausa per riavviare il dialogo perché «troppo breve e poco credibile».

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