Audizione di Zuckerberg: «Ho sbagliato, ora saremo i poliziotti del sistema»

Audizione di Zuckerberg: «Ho sbagliato, ora saremo i poliziotti del sistema»

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Capitalismo di sorveglianza. E’ stato chiaramente un errore” credere a Cambridge Analytica quando dissero che avevano smesso di utilizzare impropriamente i dati degli utenti – ha detto Mark Zuckerberg in apertura dell’audizione alla commissione congiunta Giustizia e Commercio del Senato Usa – non avremmo dovuto fidarci soltanto della loro parola”. Tra cinque-dieci anni un’intelligenza artificiale capace di braccare gli “hate speech”

Facebook è una «compagnia idealista e ottimista», ma ha fatto grandi errori nella violazione di dati di 87 milioni di americani realizzata da Cambridge Analytica. Ieri il suo fondatore e Ceo Mark Zuckerberg si è preso le sue responsabilità e, prima dell’attesissima prima audizione al Congresso degli Stati Uniti (oggi replicherà al Senato), ha scritto sulla sua pagina personale che farà «tutto il possibile per rendere Facebook un posto dove tutti possano stare più vicino alle persone che hanno a cuore e per assicurarmi che sia una forza positiva per il mondo». Nell’impasto di contro-cultura, aggressività yuppie e filosofie olistiche e manageriali chiamato «ideologia californiana» la lodevole intenzione di «fare bene al mondo» può facilmente rovesciarsi nel suo opposto: diventare cioè la sponda per i disegni (elettorali) e passioni negative poco «idealiste e positive» che si annidano nel lato oscuro delle piattaforme digitali.

IN QUESTA AMBIVALENZA si è mosso ancora ieri Zuckerberg che ha ricordato il ruolo di Facebook nell’amplificazione di un movimento come il #MeToo o #Marchforourlives, senza contare il suo ruolo (con Twitter) in Occupy Wall Street o nelle «primavere arabe». Poi i 20 milioni di dollari raccolti dopo l’uragano Harvey e le 70 milioni di piccole imprese che usano le piattaforme per creare posti di lavoro. Dall’altra parte della bilancia ci sono le fake news diffuse nella campagna presidenziale che ha portato Trump alla Casa Bianca, le interferenze straniere e gli hate speech, la vendita di pacchetti di dati a aziende e sviluppatori. Così facendo Facebook è diventato un cavallo di troia che può amplificare anche i messaggi di coloro che hanno un’altra idea su come «fare il bene del mondo». Magari evocando gli stessi principi dell’onnipotenza degli algoritmi, la presunta «disintermediazione» operata dalle piattaforme rispetto alle vischiosità del mercato, della politica o della società.

ZUCKERBERG ha usato un’espressione molto significativa per il «capitalismo di sorveglianza» in cui viviamo. Ha detto che Facebook si impegnerà a diventare il «poliziotto del sistema che ci ruota intorno». Ci «vorrà tempo per elaborare tutti i cambiamenti», «ma mi impegno a farlo nel modo giusto». Ad esempio assumendo, entro la fine dell’anno, 20 mila persone per garantire la sicurezza dei dati e della revisione dei contenuti. Non è una distopia: più sorveglianza significa più «ordine» secondo l’idea di «trasparenza» e «democrazia» proprie della piattaforma. Facebook potrebbe inoltre adottare strumenti di intelligenza artificiale in un periodo di cinque o dieci anni che segnalino con precisione gli “hate speech”. In questo periodo l’azienda potrebbe individuare gli strumenti capaci di distinguere “sfumature linguistiche” nei contenuti per essere più precisi nel segnalare tali messaggi che utilizzano discorso di odio. Per il momento non «non siamo arrivati a questo punto» ha detto Zuckerberg.

UNA STRETTA SUI CONTROLLI dovrebbe, evidentemente, evitare il ripetersi di un altro caso Cambridge Analytica. Zuckerberg ha dichiarato che l’azienda aveva considerato «un caso chiuso” la raccolta dati realizzata nel 2015. Così non è stato perché, stando almeno alla versione «ufficiale» ribadita da Zuckerberg davanti ai 44 senatori della commissione congiunta Giustizia e Commercio del Senato, Cambridge Analytica non ha distrutto i dati ma li ha utilizzati per risalire a quelli di 87 milioni di profili. Oggi Facebook tratterebbe il caso in maniera diversa, anche se è troppo tardi. E comunque la piattaforma non ha avvertito la Commissione federale del commercio sulla raccolta di dati di cui era a conoscenza.

LA NUOVA SORVEGLIANZA per la tutela della sicurezza degli utenti potrebbe anche incidere sulla redditività, ha ipotizzato Zuckerberg. Ma si punterebbe a limitare le informazioni personali a cui è possibile accedere collegandosi una «app» esterna. Gli sviluppatori potranno accedere solo al nome, alla foto del profilo e all’indirizzo e-mail e dovranno ottenere un’ulteriore approvazione e rispettare i nuovi requisiti per evitare una raccolta indiscriminata. A questo proposito Zuckerberg ha escluso che Facebook «sia un monopolio», respingendo le affermazioni secondo le quali il social network ha l’esclusivo controllo del mercato. «L’americano medio utilizza otto diverse app per comunicare con i propri amici e rimanere in contatto con le persone, dalle applicazioni di sms alle e-mail». Il distinguo è evidente, ma probabilmente non si è valutato a sufficienza il fatto che Facebook, con i suoi oltre 2 miliardi di utenti in tutto il mondo, è in sé già un mercato sul quale ha il monopolio assoluto perché coincide con se stesso.

NEL NUOVO SISTEMA così prospettato, gli inserzionisti che intendono pubblicare contenuti politici dovranno sottoporsi a un sistema di autorizzazione più rigido. Non è chiaro, al momento, cosa dovrebbe accadere per tutti gli altri che usano Facebook per presentare offerte pubblicitarie in base alla profilazione degli utenti della piattaforma.

ZUCKERBERG HA RISPOSTO al senatore Bill Nelson che ha condotto l’audizione che il modello pubblicitario è quello «più in linea con la nostra missione» perché permette di offrire gratis il servizio. Senza pubblicità, nessuna condivisione. Senza profitto, nessuna «amicizia». Ieri è stato difeso il modello di sfruttamento della forza lavoro digitale che permette alla piattaforma, e ai suoi inserzionisti, di guadagnare senza riconoscere il valore della ricchezza prodotta dagli utenti.

NEL FRATTEMPO è stata lanciata una «class action» negli Usa e nel Regno Unito contro Facebook e Cambridge Analytica per la violazione dei dati personali. Zuckerberg rischia di pagare multe e risarcimenti milionari.

FONTE: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO



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