Libia. La guerra si estende e arriva al Fezzan

Libia. La guerra si estende e arriva al Fezzan

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La guerra in Libia varca i confini della Tripolitania, dove l’offensiva del generale cirenaico Haftar sembra essersi arenata, senza che neanche la controffensiva «Vulcano di rabbia» riesca a guadagnare posizioni.

Il Fezzan, area meridionale del Paese dove sorgono i più grandi giacimenti petroliferi e che Haftar ha messo sotto il suo controllo, si sta surriscaldando. Incerto l’esito dello scontro: sia il Libyan national army di Haftar sia le forze fedeli al premier Serraj ieri rivendicavano la conquista della vecchia base militare di Tamanhint, vicino Sebha. L’attacco sarebbe scattato al mattino ad opera di Ibrahim Jadran, ex capo delle Guardie petrolifere, alla testa di un gruppo di mercenari ciadiani.

Mustafà Sanallah, presidente della compagnia petrolifera Noc, che da Londra lancia l’allarme per il greggio, sostenendo che il perdurare dei combattimenti «mina anche gli sforzi per fermarne il contrabbando». Rinforzi dalla Cirenaica continuano ad affluire nei dintorni di Tripoli e a est di Sirte. Continuano i raid e gli scontri armati (205, il conto aggiornato dei morti). E mentre la procura militare di Tripoli spicca un mandato di cattura contro Haftar e altri sei comandanti per i raid sull’aeroporto di Mitiga e sull’area abitata di Abu Salim – di cui l’Lna continua però a negare la paternità -, l’artiglieria pesante di Misurata distrugge una clinica medica a Qasr Ben Gashir, senza fare vittime.

Il ministro dell’Interno di Serraj, il misuratino Fathi Bashaga, annuncia lo stop agli accordi di sicurezza con la Francia, «a causa del sostegno di Parigi ad Haftar». La decisione sembra legata alla vicenda dei 13 francesi che, con passaporti diplomatici e armi leggere, sono stati intercettati dai doganieri tunisini mentre cercavano di penetrare in territorio libico. Per il Quai d’Orsay dovevano solo rafforzare la sicurezza dell’ambasciatrice, in ogni caso le armi sarebbero state sequestrate dai tunisini. Così come agli arresti sarebbero finiti a Djerba, in Tunisia, 11 individui armati di diverse nazionalità europee, con passaporto diplomatico, che hanno cercato di infiltrarsi via mare in Libia. Per il quotidiano vicino ad Haftar The Libyan Adress il loro scopo sarebbe stato quello di sostenere «le forze terroriste di Tripoli». Altra minaccia esterna sembrano le due navi da guerra turche – Turchia e Qatar sostengono Serraj – che si intravedono al largo di Misurata, con l’obiettivo ufficiale di «intercettare i trafficanti di droga».

L’inviato Onu Ghassam Salamé ribadisce che qualsiasi ingerenza straniera peggiorerebbe la situazione e ha ricordato come la maggiore responsabilità dal punto di vista diplomatico sia in capo a Berlino. La Germania non è però riuscita a raggiungere una mediazione ieri prima della riunione a porte chiuse che si è svolta nella notte al Palazzo di Vetro di New York.

* Fonte: Rachele Gonnelli, IL MANIFESTO

photo: Elizabeth Arrott [Public domain]



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Paese che vai, usanza che trovi, spesso a scapito del diritto internazionale. Dopo le documentatedifficoltà  dei migranti arrivati in Italia dalla Libianell’ottenere lo status di rifugiato per l’assenza di un adeguato sistema di accoglienza e protezione nazionale dei migranti (sempre che il Mediterraneo li consegni vivi, visto che dal 1988 ad oggi sono morte lungo le frontiere dell’Europa almeno 18.578 persone, di cui 2.352 soltanto nel corso del 2011) ad essere sotto l’attenzione di alcune autorevoli ong internazionali è ora Israele.

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