Amazzonia. Dietro gli incendi il furto delle terre
In Brasile i conflitti fondiari sono sempre più acuti e le aree di maggior conflitto sono quelle in cui il fenomeno del grilagem è più diffuso. L’acquisizione di terre attraverso la falsificazione di documenti è una pratica antica e consolidata che ha inciso in maniera determinante sulla struttura fondiaria brasiliana e sulla formazione della proprietà privata della terra.
IL TERMINE GRILAGEM deriva dall’usanza di collocare i falsi documenti in contenitori insieme a dei grilli. L’azione degli insetti e i loro escrementi davano ai fogli un colore giallastro e un aspetto antico. Attualmente i grilli non si usano più, sostituiti da sistemi più sofisticati, ma il grilagem rimane uno strumento di dominio e concentrazione fondiaria.
I grileiros mettono le mani su milioni di ettari di terre pubbliche che non hanno una destinazione d’uso, soprattutto nelle regioni del Nord e del Centro-ovest del Paese, riuscendo a influenzare funzionari e autorità locali per ottenere la proprietà. Un processo di acquisizione che genera conflitti, violazione dei diritti umani, espulsione dei piccoli produttori agricoli e delle comunità indigene, devastazioni ambientali.
Gli incendi che stanno devastando il Brasile in questi mesi sono strettamente collegati con l’acquisizione fraudolenta di terre. I movimenti popolari e le organizzazioni dei diritti umani hanno fatto emergere in questi anni migliaia di casi di grilagem.
Il governo Bolsonaro, in continuità col governo Temer, nell’invocare l’esigenza di una «regolarizzazione fondiaria», sta varando misure che favoriscono la regolarizzazione di terre pubbliche acquisite irregolarmente. Secondo l’Istituto di ricerca ambientale dell’Amazzonia (Ipam) il 45% delle terre della regione amazzonica non sono registrate o non hanno destinazione d’uso. Inoltre, l’Istituto calcola che in Amazzonia sono circa 28 milioni gli ettari di terre pubbliche oggetto di grilagem che stanno per ottenere la titolazione o che sono state individuate per futuri processi di regolarizzazione fondiaria.
Flavio Bolsonaro, figlio del presidente brasiliano, ha presentato una proposta di emendamento costituzionale che rende più difficile il processo di espropriazione dei latifondi non coltivati. La Costituzione brasiliana del 1988 riconosce la funzione sociale della terra e prevede l’espropriazione delle terre improduttive per essere destinate alla riforma agraria.
Se venisse approvato l’emendamento Bolsonaro, si determinerebbe una paralisi di tutti i progetti legati alla riforma più attesa e invocata in questi decenni. Il Brasile è in assoluto uno dei paesi in cui esiste la maggiore concentrazione fondiaria.
Secondo l’Incra (Istituto nazionale di riforma agraria) il 56% delle terre è in mano al 2,5% dei proprietari e solo l’8,2% in mano ai 3,3 milioni di piccolissimi proprietari. E poi ci sono 4 milioni di famiglie contadine, corrispondenti a 20 milioni di persone, che non hanno accesso alla terra (i Sem Terra).
IL CARATTERE REAZIONARIO del governo Bolsonaro emerge con tutta la sua forza nella politica che persegue in campo agrario. Si favorisce la regolarizzazione delle terre acquisite illegalmente e si impedisce l’espropriazione delle terre incolte, mentre la Costituzione prevede la confisca e l’assegnazione ai lavoratori delle terre acquisite in modo fraudolento.
Anche lo Stato del Parà, che detiene il record di conflitti e di lavoratori rurali assassinati, ha varato una legge sulle terre che facilita il grilagem e la privatizzazione delle foreste. L’articolo 7 della legge consente al beneficiario di una concessione di non risiedere nella terra, favorendo, così, la speculazione sulle aree agricole. In Brasile il grilagem va di pari passo con il land gabbring, l’accaparramento di terre da parte di imprese straniere.
Anche la terra, come l’oro, viene vista come una forma di conservazione del valore, oltre a fornire un reddito attraverso la coltivazione di prodotti destinati al mercato internazionale. Le restrizioni all’acquisto di terre varate nel 2010 non sono sufficienti ad impedire agli investitori internazionali di accaparrarsi grandi estensioni, attraverso operazioni di acquisizione e fusioni con società brasiliane che hanno proprietà agricole. Secondo i dati dell’Incra, le società straniere posseggono almeno il 5% delle aree agricole brasiliane, per una superficie che va dai 3 ai 5 milioni di ettari.
LA VICENDA che coinvolge l’Università di Harvard dà la misura dei processi in atto. Una storia di appropriazione di terre che mette in relazione una delle Università più famose del mondo con una realtà del Brasile più profondo e in cui si fondono documenti falsificati, violenza, espulsione di lavoratori agricoli, speculazione finanziaria.
Secondo la Rete sociale di giustizia e diritti umani, il fondo pensioni dell’Università americana ha acquistato in questi anni in Brasile ben 300 mila ettari di terre, concentrati negli Stati di Piauì e Bahia, diventando uno dei principali investitori in campo agricolo. Queste acquisizioni non sono avvenute in forma diretta, ma utilizzando società brasiliane e imprese controllate.
Nel Municipio di Cotegibe, nello Stato di Bahia, l’Università di Harvard ha acquistato 140 mila ettari attraverso la società brasiliana Caracol da essa controllata. Ma si tratta di un’area che un tempo era pubblica e che attraverso il sistema del grilagem e i successivi passaggi di proprietà e rettifiche giudiziali, col coinvolgimento di fazendeiros e di un ex deputato bahiano, è entrata nella speculazione finanziaria internazionale. Nell’area si erano insediati 240 famiglie di piccoli agricoltori che, a partire dagli anni ’70, sono stati espulsi con la violenza da gruppi armati legati ai latifondisti che poi hanno venduto ad Harvard.
Il Coordinamento di sviluppo agrario dello Stato di Bahia ha raccolto documenti e testimonianze che confermano che quell’area è stata acquisita attraverso pratiche irregolari.
Le autorità brasiliane stanno indagando per usurpazione di terre pubbliche, ma sono indagini che incontrano gravi difficoltà e non c’è ancora una apertura del processo perché i settori legati all’agrobusiness lo impediscono. In Brasile, intanto, per la terra si continua ad uccidere e morire, più di ogni altro paese al mondo.
* Fonte: Francesco Bilotta, il manifesto
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