Dati Istat, un altro record di precari a termine: 3 milioni 123 mila

Sul tavolo del governo c’è la richiesta di LeU di rivedere radicalmente la “riforma” renziana e l’opposizione decisa dei renziani di Italia Viva
Brutte notizie planano sul tavolo del vertice di maggioranza. Nell’alluvione di provvedimenti ai quali fare il «tagliando» c’è anche il Jobs Act. LeU chiede di cambiarlo radicalmente, i renziani di Italia Viva autori della «riforma» quando dominavano il Pd lo escludono con decisione. I dati forniti dall’Istat ieri possono essere utili per tratteggiare il contesto in cui tale discussione potrebbe avvenire sul serio e indicare alcune tendenze rafforzate dalla liberalizzazione dei contratti a termine e dalla trasformazione genetica del contratto subordinato a tempo indeterminato. Insieme all’abolizione dell’articolo 18 sono queste le principali novità imposte dal Jobs Act. A dicembre 2019, sostiene l’Istat, il «mercato del lavoro» ha inviato dati pessimi.
È in atto un forte calo degli occupati, soprattutto permanenti e autonomi al minimo storico dal 1977. Nel dettaglio: 75mila occupati permanenti in meno in un solo mese. Numero che annulla l’aumento di 67mila di novembre. E dopo mesi di disattenzione rispetto alle cause dell’aumento dell’occupazione, dovuta essenzialmente alla conversione del vecchio precariato a termine, principale effetto conosciuto del modesto «decreto dignità», si scopre che il precariato – quello nel lavoro subordinato e registrato dalle statistiche – non è mai finito. In un solo mese è cresciuto di 17mila unità. In questo settore del precariato si è così arrivati a toccare quota 3 milioni 123 mila. È un nuovo massimo storico. Il Jobs Act, ultima stazione di una lunga serie di provvedimenti, è stato lo strumento legislativo che ha accelerato una tendenza strutturale del mercato del lavoro, in corso di peggioramento come suggeriscono i dati macroeconomici stagnanti e poco soddisfacenti. Questa è la partita sul tavolo del governo, attorno al quale presumibilmente, la maggioranza non potrà che scontrarsi.
Dal commento dell’Istat emerge un’occupazione stagnante e altalenante, regolarmente registrato dal calo del tasso di occupazione che resta comunque tra i più bassi dell’Eurozona. La flessione riguarda soprattutto gli uomini e le classi d’età centrali, così come i dipendenti che tornano a diminuire dopo quattro mesi di espansione; i lavoratori autonomi raggiungono . In lieve crescita il numero di disoccupati e l’inattività, che a novembre aveva raggiunto il minimo storico.
* Fonte: Roberto Ciccarelli, il manifesto
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