Energie. Tra nucleare, fossili e pannelli solari l’ambiguo cocktail europeo

REPOWER EU. Indipendenza dal gas russo. Deroga al Patto di stabilità?
Mettere fine «il più presto possibile» alla dipendenza dalle energie fossili russe ed evitare, nel breve periodo, di subire eventuali ricatti di Mosca, come è già successo a Polonia e Bulgaria (gas) e Finlandia (elettricità): ieri, la Commissione – che si appresterebbe a sospendere per un altro anno il Patto di stabilità – ha presentato il piano RePowerEu, con investimenti previsti di quasi 300 miliardi nei prossimi 5 anni, che naviga tra due necessità, l’emergenza energetica e l’emergenza climatica. Rispondere alla prima, protestano gli ecologisti, significa mettere a rischio la seconda.
La Ue dipende ancora del 26% di importazioni dalla Russia per i consumi di gas (era al 40%), del 28% per il petrolio e ogni mese paga a Mosca circa un miliardo di euro, che servono a Putin per finanziare la guerra contro l’Ucraina. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ritiene che la Ue debba mettere fine alla dipendenza «molto prima del 2030».
Per questo accelera con il piano: a breve, significa diversificazione delle importazioni di idrocarburi, spingere al massimo la produzione di energia nucleare e riapertura, in caso di bisogno, di miniere di carbone. Nel medio e lungo periodo ci saranno correzioni di fondo: riduzione dei consumi e aumento della parte delle energie rinnovabili. RePowerEu è un piano ambiguo, che prevede – ma senza entrare nei dettagli – una riduzione dei consumi, ma nell’immediato cerca di rispondere all’emergenza, con finanziamenti per nuove infrastrutture, rigassificatori e pipelines, che mettono tra parentesi la lotta al riscaldamento climatico. Gli Amici della Terra denunciano: sono previste una cinquantina di nuove infrastrutture per l’energia fossile, cioè una dipendenza «sporca» viene sostituita con un’altra altrettanto «sporca».
Importazioni di Gnl in netto aumento dagli Usa, da Norvegia, Algeria, Egitto, Qatar e altri paesi del Golfo. Ma i prezzi crescono, quindi tra le misure di emergenza la Commissione prevede temporaneamente la possibilità di controllo dei prezzi (ogni paese sceglierà le modalità, le politiche energetiche restano nazionali): i principali paesi, Germania, Francia, Italia, Spagna, negli ultimi mesi hanno già speso, ognuno, tra i 20 e i 30 miliardi per calmierare i prezzi ed evitare esplosioni sociali. Bruxelles propone acquisti di gruppo, per ottenere prezzi migliori, ma non c’è accordo, la Germania per il momento frena.
Nella Ue c’è una legge climatica che prevede una riduzione del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030, per arrivare alla neutralità carbonio nel 2050. Le energie rinnovabili, nel RePowerEu, dovrebbero crescere al 45% entro il 2030 (il precedente obiettivo era 40%, ma adesso contano solo per il 22%). La Commissione suggerisce di rendere obbligatori i pannelli solari per tutte le nuove costruzioni dal 2030 e dal 2026 per gli edifici pubblici e commerciali di più di 250 mq. Ci dovrebbe essere un «regime speciale» che semplifica la burocrazia. Bruxelles spinge anche per investimenti nella costruzione di pannelli, ora massicciamente importati dalla Cina. Sul risparmio dei consumi di energia, RePowerEu è vago: aumenta il calo dal 20% al 24% entro il 2030, ma non dà molte indicazioni sulla strada da seguire e l’obiettivo non è vincolante.
Nella Ue c’è il braccio di ferro sulla «tassonomia» per includere gas e nucleare come energie di transizione. Sul nucleare, c’è il contro-esempio francese: oggi, su 56 reattori, 29 sono fermi, per manutenzione, per la «visita dei 40 anni» in vista di un prolungamento di vita, per corrosione, con rischio sicurezza. La produzione di energia nucleare è al più basso livello storico (nel 2005, il 78% dell’energia elettrica era prodotto dal nucleare in Francia, oggi siamo al 67%, l’obiettivo è scendere al 50% entro il 2035, ma al tempo stesso costruire altre centrali).
Intanto, la Ue non riesce ad accordarsi sull’embargo al petrolio russo, dopo aver deciso di fermare l’import di carbone a metà agosto. L’Ungheria si oppone e decisioni sul «sesto pacchetto» sono rinviate al Consiglio europeo di fine mese. Budapest chiede soldi per togliere il veto, 15-18 miliardi, una cifra enorme per «modernizzare» il sistema energetico del paese. Tensione anche sul conto in rubli imposto da Mosca per le importazioni di gas. L’Eni è nel mirino, per Bruxelles significa «aggirare» le sanzioni.
* Fonte/autore: Anna Maria Merlo, il manifesto
ph by HBHC04, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
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