Torino. Il «Climate social camp» riempie la piazza
Il meeting dei Fridays for future chiude con un corteo aperto dai giovani del sud del mondo
TORINO. Cantano canzoni dalle origini lontane, ma che ancora interpretano il senso della lotta. Anche quella del XXI secolo, per il clima e per il pianeta. E, così, succede che in un corteo Bella Ciao, ormai più che internazionale, si mescoli facilmente a El pueblo unido jamás será vencido. Nessun afflato nostalgico, sono ragazzi e ragazze da ogni dove e guardano al futuro. A un futuro prossimo, perché non c’è più tempo da perdere. E scendono in piazza.
Ieri, si sono conclusi il Climate Social Camp e il meeting europeo di Fridays for future con un grande e colorato corteo, dal parco Colletta al centro storico di Torino. Ad aprire la marcia, gli attivisti del Sud globale, dei Paesi cosiddetti Mapa (Most affected people and areas), quelli che più subiscono le conseguenze del cambiamento climatico nonostante il maggior responsabile sia il Nord del mondo. Giovani dall’Asia e dall’America Latina, con i cartelli in solidarietà alle comunità indigene e un invito a non dimenticarsi dell’Afghanistan. Quella di dare visibilità ai Paesi più in sofferenza, nonostante fosse soprattutto un meeting europeo, è stata una scelta di campo precisa: decolonizzare la visione, la proposta e, pure, il movimento. Con l’idea che la giustizia climatica debba incorporare un profondo senso di giustizia sociale.
In oltre mille, dietro allo striscione «Join the fight time is now» (unisciti alla lotta adesso), i giovani di Fridays hanno percorso le strade di Torino, che per una settimana è stata la capitale degli ecologisti, provenienti da 45 diversi Paesi. Bandiere verdi con lo stemma dei Fridays, ma anche No Tav, No Muos, contro Stuttgart 21 (il costoso progetto di riconversione della stazione ferroviaria di Stoccarda), quelle della pace e dell’Ucraina, i colori di Non una di meno e di Legambiente, lo striscione di Torino Respira «per una città libera dallo smog». E tanti altri. Slogan contro l’Eni e le multinazionali. Strumenti improvvisati e cartelli di materiale riciclato: «Stop terra dei fuochi», «Sbloccate le rinnovabili», «Fossil kills». Anche un messaggio ai politici: «Voteremo solo per giustizia climatica e sociale». In piazza, Eleonora Evi dei Verdi, Nicola Fratoianni e Marco Grimaldi di Sinistra italiana: «Il nostro mondo è in fiamme, non lo sappiamo da ieri», ha sottolineato il segretario nazionale di Si.
Attraversando Vanchiglia, i ragazzi gridano «another world is possible, we are unstoppable», per avvertire che la loro protesta continuerà a lungo. Il 23 settembre ci sarà un nuovo sciopero globale per il clima. In questi cinque giorni intensi si sono confrontati tra di loro e con altre realtà, a partire dal mondo del lavoro con cui il dialogo è stretto. Mercoledì il movimento ha, inoltre, messo a punto azioni in città, «sanzionando» alcune aziende considerate responsabili della situazione in cui ci troviamo (Snam, Microtecnica, Intesa Sanpaolo).
Greta Thunberg non è potuta venire ma ha parlato da remoto. Il movimento, avviato da questa ragazza svedese in grado di scioperare ogni venerdì per il clima, è cresciuto e cammina con le proprie gambe. Insieme ai temi più globali sono stati affrontati anche quelli locali. Per Luca Sardo, uno degli organizzatori e attivista torinese di Fridays For Future, «il comune di Torino deve essere più incisivo sulle politiche per il clima e disincentivare il trasporto in auto, dando un’alternativa. Poi tutelare le aree aree verdi, evitando le cementificazioni».
La lotta ecologista si trasferisce per il weekend in Valsusa per la sesta edizione del festival dell’Alta felicità a Venaus: un’esperienza di comunità tra natura, musica, sport, dibattiti, cibo e incontri all’insegna dell’ecosostenibilitá. Africa Unite, Max Casacci, Bandakadabra, Zerocalcare e Moni Ovadia tra gli ospiti. Due novità: l’unione con il Climate Social Camp (uniti dalla difesa dell’ambiente) e la passeggiata del 30 luglio al «fortino» di San Didero. «Una distesa di centinaia di metri fatta di jersey di cemento armato, ferro e filo spinato» a difesa del cantiere del contestato nuovo autoporto valsusino, opera connessa alla Torino-Lione: «Al contrario di quello che si pensa, non esiste alcun cantiere, ma solo una recinzione vuota, presidiata giornalmente da decine di forze dell’ordine che fanno la guardia al nulla».
* Fonte/autore: Mauro Ravarino, il manifesto
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