INFATTI, SE COME si mormora è davvero la preoccupazione per gli ostaggi a far slittare di giorno in giorno il preoccupante ingresso a Gaza delle truppe di terra israeliane, che potrebbe essere un suicidio collettivo, non è da escludere che la salvezza dello stato ebraico da se stesso e, in seconda battuta, dalla riprovazione delle piazze di tutto il mondo dove negli ultimi giorni si grida «morte agli ebrei», dipendano proprio da questo procrastinare. Se l’antisemitismo è un male tragicamente reale e inestirpabile, è infatti altrettanto vero che Israele gli ha dato man forte anche questa volta causando cinquemila morti solo con i raid aerei che in pochi giorni stanno gradualmente cancellando Gaza e i suoi abitanti, complice la legittimazione dei governi occidentali e dei cittadini israeliani traumatizzati dal devastante massacro subito da Hamas. Del resto il governo Netanyahu usa ogni mezzo anche per reprimere il dissenso e, mentre la polizia promette di deportare a Gaza chi osi manifestare anche solo empatia verso i civili della controparte, le università affiancano tristemente gli estremisti religiosi nella caccia alle streghe per depurare i ranghi da eventuali intellettuali ingrati e traditori della patria.

IN QUESTO SCENARIO, dove l’umanità sembra un bene in estinzione, relegato solo alle numerosissime e ammirabili iniziative di volontariato interno, sono nuovamente gli ostaggi e i superstiti dei massacri, insieme ai loro parenti, a impartire lezioni di civiltà: durante il rilascio alla Croce rossa Lifshitz ha teso la mano a uno degli uomini che la tenevano prigioniera, augurandogli pace – «Shalom». Accanto alla condanna all’uso della violenza da parte di una giovane superstite del kibbutz Be’eri e del padre di un ragazzo che ha perso la vita il 7 ottobre, con quella di Yocheved Lifshitz sono già due le testimonianze del trattamento per così dire «garbato» riservato agli ostaggi dai terroristi di Hamas, benché Lifshitz abbia anche raccontato di come sia stata picchiata dagli uomini che l’hanno rapita. È lecito ipotizzare che simili curiose dichiarazioni siano frutto di una strategia imposta dallo stesso Hamas che detiene altre decine di ostaggi fra cui i mariti delle due donne liberate, ma a creare il caso ci ha pensato la spropositata reazione del governo israeliano che ha cercato immediatamente di far sparire dalla rete le imbarazzanti dichiarazioni. Se la prima volta ci è quasi riuscito, trattandosi di un programma radio passato inosservato, la seconda non è stato possibile porre rimedio. Secondo il portale di notizie Ynet l’ufficio del Primo Ministro avrebbe perso le staffe di fronte al «danno all’immagine» causato dalle spontanee dichiarazioni di Yocheved Lifshitz rilasciate in diretta alla conferenza stampa tenuta all’ospedale Hichilov dove è stata ricoverata ieri al momento del rilascio.

INFINE non bisogna dimenticare che quello del riscatto degli ostaggi è un precetto della tradizione ebraica che lo definisce un valore supremo e un atto di nobiltà, parte fondamentale dell’ethos nazionale. La sostanziale delusione delle aspettative anche su questo fronte non fa che screditare ulteriormente le istituzioni israeliane agli occhi dei cittadini e la via per la restaurazione della morale si fa sempre più in salita.

* Fonte/autore: Sarah Parenzo, il manifesto