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«Clima, triplicare il nucleare». Alla Cop28 l’atomo ora è verde

LE COP VIVONO DA DECENNI un paradosso semantico. Nelle risoluzioni finali si può parlare di emissioni e temperature, ma non dei combustibili fossili che le fanno aumentare. Uno stallo frutto delle regole Unfccc (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), i cui negoziati procedono solo con il consenso di tutte le parti, e dell’ostruzionismo di quei paesi che sui combustibili fossili hanno fondato la loro fortuna. In primis il blocco delle petromonarchie, di cui anche gli Emirati padroni di casa fanno parte. L’incontro di Dubai si è aperto con la speranza che i tempi fossero maturi per lasciarsi alle spalle questa timidezza e parlare finalmente di phase-out, abbandono, di tutti i combustibili fossili. È stata l’Unione europea, assieme ad alcune delle nazioni più fragili come i piccoli stati insulari del Pacifico, a far capire nei mesi scorsi che avrebbe considerato riuscita Cop28 solo se si fosse raggiunto questo risultato.
Ma proprio nella prima settimana di vertice una tempesta mediatica si è abbattuta su Al Jaber, la Cop e l’obiettivo del phase-out.

IL GUARDIAN HA PUBBLICATO domenica la registrazione di una call Zoom riservata in cui il presidente del vertice sosteneva una posizione molto diversa da quella delle Nazioni Unite. «Non c’è scienza che provi sia necessario abbandonare le fonti fossili» dice Al Jaber nel video, «a meno di voler riportare il mondo nelle caverne». La notizia dilaga all’Expo City di Dubai dove la Cop è in corso. Meno di ventiquattro ore dopo arriva la risposta di Al Jaber. In conferenza stampa l’emiratino snocciola i risultati raggiunti fin qua dalla Conferenza, rivendica di essere il primo presidente a imporre il tema del destino dei combustibili fossili sul tavolo, ripete ossessivamente di affidarsi alla scienza. Ad una platea un po’ perplessa parla di «speranza e ottimismo nell’aria». Al suo fianco Al Jaber si è portato Jim Skea, il britannico direttore dell’Ipcc, l’istituzione Onu massima autorità scientifica mondiale in campo climatico. Il segnale è chiaro: la scienza è con me. Quando una giornalista del Sydney Morning Herald gli chiede conto delle dichiarazioni trapelate la sera prima, lui risponde parlando di un travisamento delle sue parole. «Sono sorpreso dal costante tentativo di sminuire il nostro lavoro» dice Al Jaber che poi, per mettere fine alle polemiche, aggiunge «il phase-down e il phase-out sono inevitabili».

Questione chiusa, dunque? Non esattamente. Al Jaber è riuscito a riprendere le redini del negoziato e a fermare l’ondata di indignazione, ma l’immagine del petroliere e politico che, con toni assolutamente alieni al garbo diplomatico, parla sopra la sua interlocutrice negando in toto la necessità di abbandonare i fossili, rimarrà nel tempo.

RIMANE APERTA la questione della rilevanza di questo dibattito. Il phase-out di tutti i combustibili fossili nella risoluzione finale darebbe una spinta a tutti gli altri dossier negoziali relativi alla mitigazione. Non solo: «le parole contano, e mandano segnali alle persone e ai mercati» ha detto in novembre l’Inviato speciale per il clima dell’Unione Europea Anthony Agotha.

Lo scontro tra phase-out e phase-down, eliminazione o riduzione, ha insomma il suo peso. Ma il rischio, nella bolla diplomatica della Cop, è quello di sopravvalutarlo. Se anche prevalesse la formulazione più radicale, molte questioni rimarrebbero insolute – dalla deadline per il suo rispetto all’inclusione o meno del fossile abated. Le compagnie petrolifere propongono la cattura e stoccaggio del carbonio in atmosfera come alternativa all’abbandono completo dell’energia sporca, ma l’efficienza di questi sistemi è ancora tutta da dimostrare e i loro costi altissimi. L’International Energy Agency ha recentemente ridimensionato il ruolo di questi sistemi nella transizione, e anche l’Ipcc di Jim Skea – lo stesso seduto affianco ad Al Jaber nella conferenza stampa di ieri – ritiene indispensabile un crollo verticale nell’uso dei fossili. L’Unfccc, poi, non dispone di meccanismi sanzionatori per punire chi, pur firmando, non dovesse rispettare la parola data.

UN PROBLEMA, quando gli stessi paesi favorevoli al phase-out applicano spesso al contempo politiche che vanno in direzione diametralmente opposta. È il caso dell’Unione europea, ambiziosa in sede negoziale ma impegnata a investire su petrolio, gas e carbone in patria. Lo iato tra le Cop e la realtà, insomma, è più ampio che mai.

* Fonte/autore: Lorenzo Tecleme, il manifesto