Gaza. Genocidio, il Sudafrica solidale con la Palestina

Gaza. Genocidio, il Sudafrica solidale con la Palestina

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Tante le iniziative a sostegno dell’azione legale. Gillespie: «Ideale da tenere vivo nel mondo». Ramallah ci spera, sotto la statua di Mandela

L’importanza della solidarietà con la Palestina è fortemente sentita in Sudafrica, non solo perché Israele ha sempre appoggiato il regime dell’apartheid – anche condividendo tutti i tipi di tecnologia, incluse quelle nucleari – ma perché la lotta contro l’apartheid e la lotta di liberazione palestinese sono sempre state considerate indissolubili. Per questo dal 7 ottobre in Sudafrica sono all’ordine del giorno imponenti manifestazioni, così come piccole azioni di privati cittadini. Ne sono un esempio l’enorme grafite con la bandiera palestinese apparso in un tradizionale quartiere musulmano di Capetown, Bo-Kaap, le serate di “Sounds for Palestine”, i workshop di serigrafia con poster e bandiere palestinesi in ogni evento.

IN MOLTI SI ESPRIMONO pubblicamente contro la guerra di Israele a Gaza. In ambito accademico, molte università non solo hanno raccolto firme al loro interno, come ha fatto anche il South African Students Congress (SASCO), ma hanno anche richiesto a enti e istituzioni internazionali con cui collaborano di fare lo stesso, in un impressionante movimento a catena.

I promotori del primo appello solidale con i palestinesi, «come sudafricani» dicono di riconoscere «il ruolo che la solidarietà internazionale ha giocato nella nostra lotta per porre fine all’apartheid». E accolgono con favore la «crescente azione di solidarietà da parte di molti settori della società civile, come gruppi interreligiosi, studenti, accademici, gruppi di solidarietà e sindacati».

LA CAUSA PALESTINESE trova in Sudafrica espressione sia nella politica – Naledi Pandor, ministra delle relazioni internazionali e della cooperazione è sempre stata chiara sulle somiglianze tra il regime di Netanyahu e quello dell’apartheid – sia da parte della società civile. Secondo l’attivista e professoressa presso il dipartimento di antropologia della University of the Western Cape, Kelly Gillespie, «se l’Anc ha pubblicamente espresso una posizione a favore del diritto di Israele ad esistere, e sostiene ampiamente la soluzione a due stati, gran parte della società civile politicizzata sudafricana è invece convinta dell’importanza di sostenere la soluzione di un unico stato, argomentando che se dopo l’apartheid il Sudafrica fosse stato diviso in più stati sarebbe stato consolidato il sistema Bantustan, piuttosto che la possibilità di un progetto di stato democratico unico in cui sia data la possibilità di affrontare l’eredità dei danni dell’apartheid».

PER QUESTA RAGIONE, sebbene si riconosca la soluzione dei due stati coma un necessario percorso diplomatico, l’obiettivo finale è quello del riconoscimento di un unico stato, in modo tale da «consentire la libertà degli ebrei di affrontare la propria violenza e i propri danni storici. Con lo slogan From the River to the Sea, ci riferiamo all’idea formulata alla fine dell’apartheid secondo cui tutti noi dovremmo avere la possibilità di vivere insieme in un’unica società secolare».

Malgrado il Sudafrica post-apartheid sia ancora marcato da profonde divisione socio economiche definite su base razziale, la sola via possibile alla convivenza è sempre stata fondata sul superamento dell’odio e della violenza, a favore di un modo di essere che valorizza la libertà degli altri. E la Palestina è intrecciata in quell’idea. «La Palestina ci ricorda il tipo di ideale per cui in Sudafrica abbiamo, e continuiamo, a combattere. Un ideale che vorremmo mantenere vivo nel mondo: che possiamo vivere insieme. La nostra libertà dipende dalla libertà reciproca» continua Gillespie.

Se molte sono le azioni di protesta sostenute in gran parte dalle moschee progressiste, la solidarietà è comunque intesa come una questione secolare di diritti umani. La profonda convinzione dell’inscindibilità della causa palestinese alla lotta contro l’Apartheid è il fondamento delle numerose cause legali contro la violazione di diritti umani portate avanti in Sudafrica, a livello locale e internazionale da anni. Esistendo una rete capillare di organizzazioni di tutela di diritti umani, sono proprio queste associazioni che si sono mosse, con molte persone coinvolte in questo lavoro di lobby e solidarietà internazionale. Anche l’azione presso la Corte Internazionale di Giustizia è una prova di questa ‘mobilitazione comune’, riunendo alcuni dei migliori studiosi e professionisti legali del paese che si sono resi disponibili.

LA RIVISTA Twailr – Third World Approaches to International World Review – il 9 gennaio ribadiva il suo totale appoggio alla richiesta inoltrata del Sudafrica alla Cgi come passo necessario per arrivare a un cessate il fuoco a Gaza e alla giustizia in Palestina. Rilevando che, malgrado gli sforzi del governo israeliano di diffamare e criminalizzare l’azione legale «il consenso alla richiesta del Sudafrica è aumentato, con Bolivia, Giordania, Malesia e Turchia che si sono unite nel sostegno al caso. Ai quattro stati si sono uniti anche oltre 1.000 partiti politici, sindacati e altri movimenti popolari che sostengono l’istanza del Sudafrica».

MENTRE SCRIVIAMO un gruppo di abitanti di Ramallah, in Palestina, sfidando il divieto di assembramenti si sono riuniti intorno alla statua di Nelson Mandela. Con una mossa che ha portato su di sé l’attenzione mondiale, il Sudafrica ha fatto ciò che pochi paesi osano fare, non lasciarli soli.

* Fonte/autore: Laura Burocco, il manifesto



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