Escalation. Siria e Iraq: «Raid Usa una minaccia per la nostra sicurezza»
Venerdì notte la rappresaglia statunitense per l’uccisione di tre militari in Giordania. Sedici morti, compresi civili, e 23 feriti
Venerdì notte, due ore dopo la conclusione della cerimonia in onore dei tre soldati americani uccisi in Giordania, le forze militari Usa hanno colpito più di 85 obiettivi in Siria e Iraq. Il Comando Centrale degli Stati uniti (Centcom) ha confermato l’operazione, specificando l’utilizzo di numerosi aerei, tra cui bombardieri a lungo raggio, e affermato che le sue forze hanno colpito «centri di comando e di intelligence, depositi di droni, razzi e missili e strutture logistiche e di fornitura di munizioni» appartenenti alla Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e a gruppi di milizie affiliate.
Una rappresaglia annunciata per l’uccisione di tre militari americani la settimana scorsa, rivendicata dalle Kataib Hezbollah, una delle fazioni armate irachene più vicine all’Iran, che nei giorni successivi ha poi annunciato di voler interrompere gli attacchi alle forze Usa. Quelli americani di venerdì notte nell’ovest dell’Iraq hanno ucciso almeno 16 persone, compresi civili, e ne hanno feriti 23, ha detto ieri il portavoce del governo iracheno Bassem al-Awadi, mentre sia Baghdad che Damasco hanno duramente condannato Washington.
LA SICUREZZA dell’Iraq e della regione finirà sull’orlo del baratro a causa degli attacchi, ha dichiarato Al-Awadi. Parole simili da Yahya Rasool, portavoce militare iracheno: il raid americano, ha detto, viola la sovranità dell’Iraq, «compromette gli sforzi del governo iracheno e costituisce una minaccia che potrebbe avere gravi implicazioni sulla sicurezza e la stabilità in Iraq e nella regione circostante».
Venerdì un portavoce della Casa bianca aveva affermato che gli Stati uniti avevano avvertito Baghdad prima degli attacchi. Al-Awadi nega (nessun coordinamento con Washington) e accusa gli Stati uniti di «inganno e distorsione dei fatti». Reazioni giungono anche dalla galassia delle milizie sciite irachene: «Washington deve capire che ogni azione suscita una reazione – ha detto Hussein al-Mosawi, portavoce di Harakat al-Nujaba, per poi assumere un tono più conciliante – Non desideriamo intensificare o ampliare le tensioni regionali». Reagisce anche Teheran, a parole: «L’attacco alla Siria e all’Iraq è un atto avventuroso e un altro errore strategico del governo americano – ha dichiarato il portavoce del ministero degli esteri iraniano, Nasser Kana’an – Non avrà altro risultato se non l’escalation della tensione e dell’instabilità nella regione».
DA DAMASCO giunge il comunicato dell’esercito siriano: «L’occupazione di parte di territorio siriano da parte delle forze Usa non più continuare», si legge nella nota che continua riaffermando la «determinazione a liberare tutta la Siria dal terrorismo e l’occupazione». Il riferimento è alle basi statunitensi dispiegate nel nord del paese, in pezzi di territorio controllati dall’Amministrazione autonoma nata tra le comunità curde e arabe. Presenti in chiave anti-Stato islamico ma anche a difesa dei pozzi di petrolio della regione di Deir Ezzor e come contraltare alla presenza della Russia, stretta alleata del presidente Bashar al-Assad.
Al momento ci sono circa 30.000 soldati statunitensi sparsi nella regione mediorientale e, da quando è iniziata la guerra a Gaza in ottobre, gli Stati uniti hanno temporaneamente inviato migliaia di truppe aggiuntive nella regione e navi da guerra. I 900 soldati americani in Siria e i 2.500 in Iraq, distribuiti in varie basi e parte della missione anti-Isis lanciata nel 2015 sotto la presidenza Obama, sono stati oggetto di frequenti attacchi negli ultimi anni. Dal 7 ottobre, le truppe statunitensi sono state attaccate più di 160 volte. Tuttavia, fino alla settimana scorsa, non si erano registrate vittime.
VERO È che il raid americano era ampiamente previsto e annunciato in anticipo: difficile credere che iraniani e gruppi di resistenza non avessero pianificato di proteggere i loro membri. E il fatto che di nuovo gli attacchi non abbiano preso di mira località all’interno dei confini iraniani, si sposa alle dichiarazioni di Washington che continua a dire di non avere intenzione di entrare in conflitto con l’Iran. Tuttavia, fino a questo momento, tutte le azioni americane hanno contribuito a intensificare le ostilità, soprattutto nella regione del Mar Rosso.
Molti osservatori sottolineano che se gli Usa vogliono evitare l’espansione della guerra e ridurre le tensioni in Medio Oriente, la chiave per raggiungere questo obiettivo risiede a Gaza. La cessazione del conflitto e il massacro dei civili sicuramente ridurrebbero le tensioni nella regione e eviterebbero l’escalation in atto. Ma Washington finora non ha esercitato alcuna reale influenza per portare a Gaza un cessate il fuoco e porre fine alle ostilità. Occorre chiedersi se ciò sia risultato dalla mancanza di volontà politica o se Washington sia incapace di influenzare l’alleato israeliano.
* Fonte/autore: Francesca Luci, il manifesto
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