Prima i centri per l’impiego, poi il «reddito di cittadinanza»

Prima i centri per l’impiego, poi il «reddito di cittadinanza»

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Molinaro: “La mia dichiarazione è stata equivocata”. Di Maio precisa: “Il reddito sarà dimezzato a chi possiede una casa”. La viceministra dell’Economia Castelli: “Va speso, non risparmiato. In caso di anomalie ci penserà la Guardia di Finanza”

La nuova alba sulla proposta del cosiddetto «reddito di cittadinanza» è iniziata con un equivoco che ha mandato in fibrillazione il fortino della Lega e dei Cinque Stelle. Lasciando un vertice a Palazzo Chigi, ieri i capigruppo alla Camera e al Senato della Lega, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, si sono mostrati insofferenti: «Tutto il caos dei mercato nasce dal reddito di cittadinanza che ancora non si sa cosa sia – ha detto Molinari – Le varie ipotesi di flat tax e quota cento sono state studiate con diverse declinazioni. Invece l’elemento che manca di capire è la platea del reddito, quale sarà il meccanismo». «Si parla anche di riforma dei centri per l’impiego – ha detto Romeo – Sono meccanismi che ancora non conosciamo. L’unica cosa certa è che non sarà una misura assistenzialistica. Dubito che per trovare le coperture ci saranno tagli alla sanità». Si sa che alla Lega il «reddito» in salsa pentastellata produce irritazione ma, affrontato così deve avere prodotto un mezzo terremoto. E infatti, pochi minuti dopo, Molinari è stato costretto a precisare che il senso della sua dichiarazione era il contrario di quello che avete appena letto. «I mercati non hanno motivo di agitazione ancor prima di capire che misure faremo» ha aggiunto.

I contorni del sussidio di ultima istanza condizionato all’obbligo del lavoro gratuito e alla formazione via centri per l’impiego sono in realtà sempre più chiari grazie alle quotidiane dichiarazioni del vicepremier Luigi Di Maio e della viceministra dell’Economia Laura Castelli. I beneficiari dovrebbero essere 3,6 milioni di poveri assoluti italiani, più una non ancora stabilita quantità di stranieri residenti da 10 anni, ugualmente poveri. Più 1,6 milioni di pensionati al di sotto dei 500 euro, destinatari della «pensione di cittadinanza». Ieri Di Maio ha confermato un aspetto rilevante: il «reddito» sarà dato dalla differenza tra il tetto di 780 euro e il patrimonio in possesso del beneficiario. «Se hai un appartamento e chiedi il reddito di cittadinanza, dai 780 euro ti viene stornato il cosiddetto affitto imputato, quindi dai 780 euro dei redditi zero arrivi a circa 400 euro» ha detto. I 780 euro sono dunque il massimale che sarà limitato dal patrimonio e dal reddito a disposizione del cittadino giudicato «povero». Realisticamente, la cifra media a cui si sta pensando si aggira intorno ai 300 euro, per di più a tempo (per un periodo che può andare da 12 a 36 mesi?) e condizionati dalla volontà del soggetto ad attivarsi secondo le indicazioni che saranno impartite. Il sussidio non sarà in contanti, non potrà essere risparmiato, e dovrà essere speso nei canali predefiniti dal governo. E sarà interessante capire presso quali aziende. Saranno «italiane», è stato precisato.

La viceministra Castelli ha ipotizzato un controllo in tempo reale da parte della Guardia di Finanza sulla gestione che i «poveri» faranno dell’importo medio attraverso il bancomat sul quale transiterà la cifra. Gli acquisti saranno «tracciati» e valutati sulla base di una condizione «di necessità». E poi, contraddicendosi: «Non stiamo dicendo che li controlliamo – ha detto – Ma qualora ci fossero delle stranezze, questo permetterebbe alla Guardia di finanza di verificare se la persona sia davvero in condizione di necessità. Se per tre mesi con il reddito vai all’Unieuro un controllino lo farà». La precisazione rende più chiaro l’allusione ricorrente in questi giorni a possibili sanzioni, fino forse all’arresto, nel caso di approfittatori («free-riders»). Il messaggio è: i «poveri» devono osservare una regola morale, basata su un «patto» con lo Stato. Le forze dell’ordine vigileranno sui loro comportamenti.

Ulteriori limitazioni, simili a sussidi esistenti, sarà il calcolo del «reddito» in base a un «coefficiente di equivalenza da 1 a 1,5 in relazione al numero dei componenti del nucleo familiare». Una famiglia composta da due persone, percepirà il reddito secondo queste regole, e dovrà seguire le prescrizioni. La misura, concepita a misura di cittadino consumatore, partirà ad aprile 2019, dopo la «riforma» dei centri per l’impiego. Impegno notevole, e tutto da dimostrare se siarealizzabile e in quale modo. I contenuti tecnici e le prospettive del complesso intervento sono ancora da scoprire. Sarà finanziato «con un miliardo», sostiene Castelli. La settimana scorsa erano 1,5. In campagna elettorale «due». Un calo avvenuto nei giorni delle trattative sul Def.

* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO



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