La beffa del vitalizio agli artisti “Dimostrate di non essere morti”
SILIGO – Per continuare a ricevere l’assegno previsto dalla legge Bacchelli, Gavino Ledda – l’autore di “Padre padrone” – ogni mese sarà obbligato a provare di non essere morto. Lo dovrà dimostrare inoltrando «un certificato di esistenza in vita». Tutto per disposizione della presidenza del Consiglio dei ministri che eroga il riconoscimento. Alle nuove procedure saranno tenuti ad attenersi pure gli altri scrittori, attori e cantanti indigenti, una quindicina in tutt’Italia, ammessi al riconoscimento «perché si sono distinti nel mondo della cultura dando lustro alla nazione».
«È terribile, ma è ciò che pretendono», commenta con rabbia lo scrittore di Siligo, paesino nel centronord della Sardegna. Ledda è appena tornato da Roma dopo aver preso parte alla prima (e ultima) trasmissione tv di Vittorio Sgarbi. «Questa non è l’Italia che conosco – prosegue – È tutta colpa di una burocrazia cieca, indegna di uno Stato democratico: non posso passare il resto dei miei giorni a contare quel che mi resta ancora da vivere».
Nella lettera ricevuta dall’autore e inviata il 5 maggio scorso dalla prefettura di Sassari si può leggere testualmente: «Ai fini della liquidazione, la Signoria Vostra dovrà trasmettere a questa prefettura, con cadenza mensile, il certificato di esistenza in vita, con l’avvertenza che in caso di mancata trasmissione la presidenza del Consiglio dei ministri non emetterà il previsto assegno. Si resta in attesa di urgente risposta».
«È chiaro che Sassari non c’entra nulla e tutto dipende da Roma – osserva ancora lo scrittore sardo – Per di più mi mandano questa lettera il 5 maggio, il giorno della morte di Napoleone. Ma io l'”Ei fu” manzoniano l’indirizzo verso qualcuno diverso da me. Anzi, a 72 anni, mi aspetto di arrivare sino a 99, come mio padre Abramo: almeno non darò a nessuno la soddisfazione di sottrarmi ciò che percepisco dal 2000 e che ho sempre considerato un premio per il mio lavoro. Lavoro che continuo e continuerò a svolgere».
«Certo, se avessi avuto soldi, avrei provocatoriamente risposto: “Sono morto” – è la sua amara conclusione per il gesto umiliante subìto – Purtroppo però non me lo posso permettere. E allora mi chiedo: io sono ancora in salute, ma come faranno gli altri che come me hanno dato lustro all’Italia e che magari saranno costretti a presentare quei documenti ogni mese, magari andando sino alla prefettura in sedia a rotelle?».
La legge Bacchelli, dell’8 agosto 1985, è una norma che prevede l’erogazione di un assegno straordinario vitalizio. Va incontro a quei cittadini che si sono distinti nel mondo della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dello sport, che versano in situazioni di indigenza. Prende il nome dall’autore del “Mulino del Po”, Riccardo Bacchelli, che per primo ne ha beneficiato.
Finora il riconoscimento veniva erogato in anticipo con rate di quattro mesi alla volta tre volte all’anno, senza bisogno di presentare alcuna documentazione. Ora, con la nuova procedura, l’assegno è consegnato a fine mese previa la comunicazione ogni trenta giorni dell’esistenza in vita a cura dell’interessato, su carta intestata del Comune.
Oltre a Gavino Ledda, oggi ricevono il vitalizio l’attore e regista Franco Citti, la giornalista-poetessa Gabriella Chioma, i pugili Aureliano Bolognesi e Carmelo Bossi, il pensatore Guido Ceronetti e l’attrice Laura Antonelli.
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