IL PIANTO DEL COCCODRILLO

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La cifra esatta nessuno sa darla: anche gli organismi internazionali fanno fatica a quantificarla visto il caos statistico sul quale ha costruito le sue fortune (e la disgrazia del paese) il partito conservatore ora all’opposizione. In ogni caso, stiamo parlando di una cifra attorno a un settimo della «ricchezza» nazionale.
Parlare di ricchezza per un paese che è agli ultimi posti in Europa per reddito pro-capite è una autentica beffa. Probabilmente il Pil è più alto di quello che indicano le statistiche perché l’evasione fiscale è enorme e – come in Italia – a evadere non sono i lavoratori dipendenti. Il risultato è un paese caratterizzato da una distribuzione del reddito mostruosa, sia a livello ufficiale e ancor più sommando il «nero»: una piramide con una base enorme e con un vertice (i ricchi) molto sottile numericamente, ma che è riuscito a mettere in ginocchio il paese. A cominciare dal novembre 2009 quando ha esportato all’estero – clandestinamente – montagne di euro provenienti da vendite anticipate di titoli del debito pubblico.
Fin dall’inizio del 2010 era evidente che la Grecia aveva bisogno di aiuto internazionale. Se fosse arrivato tempestivamente non staremmo ora a parlare di questione greca. Ma Atene non aveva fatto i conti con l’avidità  e la stupidità  dei parenti della famiglia dell’euro. I primi soldi sono arrivati tardi e con il ricatto di una manovra correttiva che strangolava il paese, anzi gli strati più poveri. Con una aggravante: i prestiti sono stati concessi non per salvare il livello di vita della popolazione, ma per impedire alle banche estere che avevano acquistato bond greci, che pagavano alti rendimenti, di fare bancarotta se la Atene non avesse più onorato il debito.
Avidità  per salvare un sistema bancario ingordo, avidità  per mettere le mani sul patrimonio pubblico di un paese al quale sono state imposte privatizzazioni enormi (a favore del capitale estero) ma anche licenziamenti di massa nel settore pubblico (150 mila in tre anni) che è stato particolarmente preso di mira (con tagli alle retribuzioni) dal governo. Ma anche stupidità , perché l’egoismo e l’avidità  rendono ciechi: l’Europa non si è resa conto che così facendo – o meglio imponendo di fare – si stava sfasciando il paese con il rischio – reale – di un default che ora sta seminando il terrore su tutti i mercati globali.
La crisi del ’29 sembra non aver insegnato nulla alla politica e ai politici: le azioni per fuoruscire dalla crisi del 2008 sono state tutte concentrate sulla finanza, abbandonando a se stessa l’economia reale che non a caso è entrata in crisi un po’ dappertutto. Non ci si è resi conto che il problema vero era la contrazione dei redditi da lavoro e le ridotte capacità  di spesa. Per un sistema che vive sull’aumento costante della domanda questo ha provocato il collasso. Ma la domanda non sono solo le merci che il sistema produce, ma quell’insieme di servizi che rendono la vita vivibile: sanità , previdenza, istruzione, abitare e mobilità . Oggi, invece, le ricette che vengono suggerite assomigliano non a quelle di Rooselvelt, ma a quelle di Hoover che credeva solo nella carità  e non nel ruolo sociale dello stato. Ma si sa: l’Europa sociale è una chimera.


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