UN SISTEMA CHE UCCIDE ANCHE INNOCENTI

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Quando, 35 anni fa, la Corte Suprema ripristinò la pena capitale, lo fece in via provvisoria. E da allora si è sforzata di mettere a punto una serie di standard giuridici ai quali gli Stati avrebbero dovuto attenersi per applicarla con correttezza, evitando le discriminazioni e gli arbitri che nel ’72 avevano portato alla sospensione di tutte le norme statali in questa materia. Come dimostra ancora una volta l’iniqua, inaccettabile esecuzione di Troy Davis avvenuta la scorsa settimana in Georgia, la Corte suprema non è riuscita nel suo intento. Di fatto, si trattava di un’impresa impossibile, perché la pena di morte è immorale e grottesca. E perciò deve essere abrogata.
Una condanna alla pena capitale è ovviamente arbitraria quando ignora le circostanze aggravanti o attenuanti; ma lo è anche quando queste circostanze sono tenute in considerazione, dato che a valutarle sono i giurati, la cui decisione è soggettiva e legata alle rispettive tendenze sui temi politici, razziali e di classe che influenzano tutti gli aspetti della vita negli Usa. Ecco perché in questo Paese l’applicazione della pena di morte è sempre stata caratterizzata dalla discriminazione e dall’arbitrio.
Molti degli imputati che rischiano la pena di morte non hanno i mezzi per pagarsi un legale. Secondo uno studio commissionato dalla Commissione Giustizia del Senato, circa due quinti degli errori commessi nei casi di condanne alla pena capitale sono da ascriversi a «un patrocinio di difesa sommamente incompetente». Oltre tutto, in tutte le fasi di giudizio, questi processi risultano economicamente più onerosi di quelli che non contemplano la pena capitale. Infine, l’onnipresenza della politica in questo campo aggrava il rischio di una gestione arbitraria: in genere nelle giurisdizioni che prevedono la pena di morte, i pubblici ministeri sono eletti e quindi interessati a ottenere sentenze più dure.
Finora quest’orrendo sistema ha portato alla condanna a morte di un gran numero di innocenti, poi scagionati grazie a prove ottenute dall’esame del Dna (17 casi) o per altre vie (112 casi). Tranne poche eccezioni, le nazioni sviluppate hanno abolito la pena capitale. È tempo che anche gli americani si rendano conto che la pena di morte è inconciliabile con la Costituzione, e indifendibile da ogni punto di vista.
(New York Times 2011 – Traduzione di Elisabetta Horvat)


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