Una narrazione dopo la grande trasformazione
In primo luogo, l’assenza di un finale consolatorio, dove tutto torna al suo posto, ripristinando l’ordine sociale che il «crimine» aveva fatto deflagrare. Già questo era presente nell’hard-boiled, ma con il noir viene meno la differenza tra bene e male, visto che mette in evidenza come il crimine, meglio la criminalità organizzata abbia stabilito un patto di ferro con l’attività economica legale e il sistema politico. Carlotto fa bene ad evidenziare come il noir possa essere considerato la mutazione letteraria del giornalismo investigativo, sottolineando così il venir meno del ruolo critico svolto dai media nei confronti del potere. È però questa vocazione politica del noir che sembra far scandalo, come testimonia un intervento pubblicato su «Lettura», l’inserto culturale del Corriere della Sera, firmato da Guido Vitiello (http://lettura.corriere.it). In quell’articolo viene stigmatizzata la tensione, la dimensione, appunto politica, del noir, sostenendo che il suo obiettivo di «narrare il reale» sia solo un vezzo ideologico. L’invito a spogliare il noir della sua politicità è in nome della solita e quest sì ideologica retorica sulla fine delle grandi narrazioni, evocando George Simenon e Agatha Christie quali esempi di gialli senza grandi pretese. Quasi, appunto, che il crimine si limiti al maggiordomo che uccide per chissà quali futili motivi.
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