Guadagnare tempo il Vietnam di Silvio

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 ALMENO fin tanto che la Corte d’appello di Milano non di pronunci sull’interdizione, facendolo comunque decadere. È l’ultima, disperata strategia.
Il report che gli prospetta in mattinata ad Arcore il senatore di fiducia Francesco Nitto Palma sui lavori della giunta delle elezioni al Senato, d’altronde, quel procedere del Pd a tappe forzate verso il voto in tempi celeri, gettano il leader nello sconforto più nero. Non ci sono più condizioni per evitare il voto in giunta e poi in aula, qualsiasi trattativa coi democratici appare preclusa. Il diktat lanciato da Villa San Martino è allora di combattere a Sant’Ivo alla Sapienza giorno per giorno. Cercare di strappare giorni, settimane, magari un mese prezioso. Ed è quello che i suoi iniziano a fare in ufficio di presidenza della giunta fin dal pomeriggio. Ottengono poco o nulla, ma oggi si riprende. Con quale obiettivo? Quel che gli avvocati Ghedini e Longo gli spiegano a più riprese è che con molta probabilità il presidente della Repubblica Napolitano si ritroverebbe con le mani legate se nei prossimi giorni arrivasse un voto definitivo dell’aula di Palazzo Madama che sancisse la decadenza. Con difficoltà, è la tesi, potrebbe procedere alla commutazione della pena detentiva (domiciliari o servizi sociali) in
pecuniaria, ancora meno a una grazia, in presenza di un voto parlamentare. Molto meglio se la decadenza seguisse, automatica, l’interdizione che il 19 ottobre la Corte d’Appello di Milano dovrà infliggere (da uno a tre anni). È il «film» che proiettano in queste ore ad Arcore e che ha convinto e forse consolato l’inquilino. Ma solo in parte.
Il presidente Napolitano ha lasciato intendere con molta chiarezza che qualsiasi atto di clemenza da parte sua potrebbe incidere
sulla pena principale, non certo su quella accessoria. Berlusconi in ogni caso decadrà, non sarà ricandidabile, non sarà più parlamentare e dunque resterà privo di qualsiasi immunità. Non c’è rimedio per l’incubo «di un arresto disposto da una procura qualsiasi» che lo attanaglia ormai giorno e notte. Falchi alla Verdini continuano a ripetergli che nulla impedisce che lui possa al contrario candidarsi da leader se si andasse al voto, fosse pure a fine novembre. Ma il Colle non concederà mai lo scioglimento delle Camere, Berlusconi lo dà per certo. E quella finestra elettorale poi, calendario alla mano, è ormai di fatto chiusa. E dunque far cadere Letta «per ottenere cosa?» È la grande incognita. Anche se la minaccia della crisi viene tenuta alta, ripetuta da tutti i dirigenti Pdl nei talk show, se in giunta il Pd procederà da oggi a tappe forzate. La realtà tuttavia dice altro, e altro raccontano le cifre delle azioni Mediaset tornate come per magia a crescere in Borsa sulla scia della semplice notizia di una tregua politica che campeggiava sui giornali di ieri. «E sono argomenti che per lui contano più di tanto altro» spiega chi è di casa ad Arcore. D’altronde, non è passata inosservata la presenza di quasi tutti i parlamentari Pdl in aula quando nel pomeriggio il premier Enrico Letta ha riferito a Palazzo Madama sul G20. «Non vogliamo la crisi » ripete in giornata il capogruppo Schifani. E dopo Letta «ci sarebbe di certo il voto, non è con questi grillini che possono sognare di fare un altro governo» è la tesi di Mariastella Gelmini.
È in questo clima che i figli sono tornati alla carica. A metterlo alle strette. Per tutto il giorno è rimasto blindato a Villa San Martino proprio con i loro, mentre un via vai incessante di avvocati conclamava la gravità del momento. Nessuna voglia di parlare con i dirigenti Pdl, non sono loro a poterlo salvare, non la politica ormai. Raccontano che Marina, Piersilvio e Barbara si siano presentati ieri sera a cena portando poche cartelle da loro controfirmate con la richiesta ufficiale di grazia al capo dello Stato. Il gesto estremo e clamoroso della famiglia. Da accompagnare, inevitabile, con le dimissioni dalla carica di senatore, prima di qualsiasi pronunciamento della giunta delle elezioni. Un atto di «responsabilità e coraggio», gli chiedono i figli più grandi. Lui resiste, non accetta. «Non vi autorizzo a presentarla, non è il momento, non ora» sarebbe stata la reazione a caldo. Ma la richiesta è lì sul tavolo. E ci resta. «Non lo farà» giura Angelino Alfano parlando a chiusura della festa “Controcorrente” del Giornale a Sanremo. Berlusconi resta in silenzio e spaesato, smarrito, «non sa in realtà che fare» confida chi gli ha parlato. Vuole mostrare il volto duro, resistere, ma gli artigli sono spuntati. E la via dell’appello alla clemenza del capo dello Stato e delle dimissioni diventa l’unica via di salvezza.


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