Alla fiera dell’est

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«Ho visto cadere il mio muro» ha scritto Angela Mer­kel, com­men­tando i fatti ucraini. Che vuole dire la can­cel­liera di ferro dell’austerità? Vuole dichia­rare la neces­sità di un altro 1989, di una ri-caduta del Muro di Ber­lino: datemi un ’89 e vi sol­le­verò l’Europa. Gli manca tanto l’ideologia sal­vi­fica della fine del «socia­li­smo reale», deci­siva ora per fer­ti­liz­zare e risol­le­vare le sorti dispe­rate di un’Europa divisa, non soli­dale, puni­tiva coi deboli e arren­de­vole con le ban­che. Senon­ché, ricorda Marx, l’ideologia non è che falsa coscienza. Un fin­gi­mento, per­ché torni l’epoca d’oro quando, alla fiera dell’est, s’imponevano i valori occi­den­tali del mer­cato e del neo­li­be­ri­smo. Ma sono pas­sati 25 anni dalla caduta del Muro di Ber­lino e a est vigono ormai sistemi a demo­cra­zia for­male come il nostro, con qual­che oli­garca in più in quelli ancora lon­tani dall’Unione euro­pea, ma tutti sot­to­messi alla nostra stessa shock eco­nomy. E anche noi di governi non eletti e di oli­gar­chi ne sap­piamo qualcosa.Men­tre regna l’incongruenza tra parole e fatti. Come in que­sti giorni nei quali, nelle stesse ore in cui la Com­mis­sione Ue bac­chet­tava tanti Stati mem­bri e in par­ti­co­lare Ita­lia, Croa­zia e Slo­ve­nia, per «squi­li­bri ecces­sivi» ricor­dando i vin­coli di bilan­cio, i por­ta­voce dell’Unione euro­pea che pre­dica auste­rity annun­cia­vano per l’Ucraina la dispo­ni­bi­lità di 11 miliardi di euro per sosti­tuirsi a quelli di Putin (e che in parte ripia­ne­ranno i debiti di Kiev con Mosca).
Ora stiamo sul bara­tro della Cri­mea, l’Ottocento nel futuro.
Dopo la rivolta, anche armata — lo con­fer­mano le nuove rive­la­zioni — di Maj­dan a Kiev che ha spac­cato il paese, tocca alla parte filo­russa, pena­liz­zata, fare la sua «Maj­dan». E la Cri­mea, sto­ri­ca­mente russa, è pronta con le mili­zie ad un refe­ren­dum «sull’autonomia o sull’adesione alla Rus­sia». Più che auto­de­ter­mi­na­zione, appare evi­dente l’eterodeterminazione dei popoli, l’interesse russo nel peri­co­loso pro­nun­cia­mento di Seba­sto­poli. Ete­ro­de­ter­mi­na­zione eguale però a quella Ue, che solo adesso s’affretta ad offrire soldi e la mera asso­cia­zione a Kiev. Sul refe­ren­dum di Cri­mea, Casa bianca, Alleanza atlan­tica, Ue e Mer­kel lan­ciano la sco­mu­nica: «È una vio­la­zione dell’unità ter­ri­to­riale». Due pesi e due misure. Sono infatti gli stessi che hanno rico­no­sciuto l’indipendenza auto­pro­cla­mata del Kosovo nel 2008 avve­nuta gra­zie alla guerra aerea della Nato, con­tro ogni diritto internazionale.Qui non siamo nei «lon­tani» Bal­cani, ma davanti al comando della flotta del Mar Nero, pre­si­dio della sicu­rezza stra­te­gica di Mosca. L’augurio è che le armi tac­ciano, che il paese si fede­ra­lizzi, rimanga unito e magari stra­bico, tra est ed ovest. Ma fuori dalla Nato. Che insi­ste invece nella sua cri­mi­nale stra­te­gia di allar­ga­mento a est.
A spie­garlo bene è l’ex capo del Pen­ta­gono e della Cia Robert Gates, che nelle sue «Memo­rie» uscite un mese fa scrive: «Aver allar­gato la Nato così rapi­da­mente dopo il crollo dell’Unione sovie­tica a nume­rosi Stati fino ad allora sotto la tutela di Mosca è stato un errore. Gli occi­den­tali, in par­ti­co­lare gli Usa, non hanno preso la misura dell’ampiezza dell’umiliazione per­ce­pita dai russi con la fine dell’Urss, che equi­va­leva per loro a can­cel­lare un impero vec­chio di vari secoli». Gates parla di «arro­ganza» occi­den­tale. Se lo dice lui.



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