Ma i raid aerei hanno già fermato l’avanzata jihadista

Ma i raid aerei hanno già fermato l’avanzata jihadista

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WASHINGTON — Lo avevano previsto. L’Isis si sta adattando alle incursioni aeree americane e irachene per ridurre le perdite. Probabile che la tendenza continui quando gli Usa colpiranno anche in Siria. Un cambiamento legato — affermano gli analisti — ai successi dei raid. Gli attacchi non solo hanno permesso di sloggiare gli islamisti da alcuni punti chiave, ma hanno anche impedito una nuova avanzata.
Dall’8 agosto le forze aeree Usa hanno condotto oltre 2700 missioni, una cifra che include i raid — quasi 160 — ma anche lanci di aiuti, voli di ricognizione e attività di supporto logistico in favore dei curdi. Nel valutare l’impatto delle incursioni, le fonti ufficiali, citate dal Wall Street Journal , presentano un quadro positivo, con un successo del 90 per cento.
Partendo da basi nel Golfo (Emirati, Qatar) e dalla portaerei Bush, gli Stati Uniti hanno messo in campo una forza mista composta da caccia F15, F18 (imbarcati), Av8, bombardieri B1 e droni. Un apparato che ha permesso di rompere l’assedio a Amerli, di riconquistare posizioni chiave e di rallentare la progressione dei jihadisti. Un buon numero di azioni si è concentrato a Mosul, attorno alla diga di Haditha e nelle zone dove i ribelli minacciavano i profughi yazidi.
Nei comunicati del Centcom, il comando che gestisce il teatro, sono elencati minuziosamente i bersagli degli Usa. Spesso citati i pick-up armati, il veicolo usato dagli insorti: ne avrebbero distrutti o danneggiati 78. Poi ci sono gli humvee , i fuoristrada forniti dagli Usa all’Iraq e diventati prede di guerra dell’Isis che ne ha catturati in quantità. I raid ne hanno inceneriti poco meno di quaranta. A seguire mezzi corazzati, camion e postazioni. Almeno in una situazione l’Us Air Force ha provocato un alto numero di morti tra gli insorti, quasi una settantina di ribelli.
Colpito dal cielo, l’Isis ha contro-manovrato. Gli americani sostengono che il Califfo ha cercato di disperdere le proprie forze. L’unità tipo del movimento è composta da una colonna di pick-up con mitragliere pesanti e 2-3 mezzi blindati, spesso ruotati. Talvolta «aggiungono» uno o due tank, anche questi catturati al nemico. Ma questo tipo di formazione rischia di essere troppo esposta. E allora i jihadisti avrebbero ridotto la consistenza de nuclei così come gli spostamenti lungo certi assi stradali. Inoltre, imitando i gheddafiani , portano i mezzi nei centri abitati per mimetizzarli. Usati anche teloni color sabbia e altri trucchi improvvisati. Canali, canyon, anfratti sono sfruttati per celare il materiale.
Fonti locali aggiungono che l’Isis avrebbe lasciato alcune delle installazioni nelle località sotto il suo controllo. Stessa mossa da parte di alcuni dirigenti. Notizia non verificabile, anche se plausibile. Gli strateghi statunitensi sperano di creare difficoltà militari e politiche al nemico. Se deve difendersi avrà meno possibilità di badare alla popolazione che governa fornendo servizi necessari e imponendo la legge islamica.
Il cambio di tattica era stato messo in conto dagli americani: ora riusciamo a cogliere «i frutti più maturi» — postazioni e mezzi dell’Isis — ma domani la missione diventerà più complicata. E lo sarà ancora di più in Siria. Attaccare la roccaforte di Raqqa, per fare un esempio, può causare vittime tra i mujahedin ma anche tra i civili. L’intenzione della Casa Bianca non è quella di un’operazione «Shock and Awe» (colpisci e terrorizza), con il ricorso ad un potenziale massiccio. L’idea è di raid che affiancano quelli dei Paesi arabi disposti a farlo. Un terreno dove si aprono scenari imprevedibili. Gli Usa — secondo il quotidiano siriano Al Watan che ha ripubblicato un’informazione già uscita — avrebbero passato a Damasco le coordinate poi usate dall’aviazione di Assad per eliminare una ventina di militanti dell’Isis a Deir Al Zour e Raqqa. Un contatto favorito forse dai tedeschi o dagli iracheni.
Guido Olimpio


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