«Nel ’93 aut aut della mafia allo Stato»

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Il presidente nega di aver mai saputo di «indicibili accordi» Il procuratore: piena collaborazione. Il Colle: subito la trascrizione
ROMA Più di tre ore per ricostruire quei giorni in cui, secondo l’accusa, maturò la trattativa tra lo Stato e Cosa nostra. Per spiegare che lui, Giorgio Napolitano, all’epoca presidente della Camera, non ne ebbe mai notizia. E che gli «indicibili accordi», dei quali gli parlò il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, in una lettera nella quale espresse il timore di avervi fatto da «scudo», erano una «mera ipotesi priva di basi oggettive».
È finita così la deposizione del capo dello Stato nel processo di Palermo. Con una nota del Quirinale mirata ad evidenziare che il presidente ha risposto a tutte le domande poste e anche ad alcune non ammesse dalla Corte, auspicando che venga messa al più presto a disposizione la trascrizione. Con la soddisfazione dei magistrati: «Da parte del capo dello Stato c’è stata una grande collaborazione. Napolitano ha risposto a tutto in modo molto ampio», ha detto il procuratore di Palermo Leonardo Agueci, e Vittorio Teresi ha aggiunto: «Ci ha dato un importante contributo per la ricerca della verità».
Con l’eccezione di nullità sollevata dall’avvocato Massimo Krogh perché al suo assistito, l’ex ministro Nicola Mancino, è stata «preclusa la partecipazione costituzionalmente prevista». E con la precognizione dell’avvocato di Totò Riina, Luca Cianferoni: «Se resta viva un po’ di gente questa vicenda del ‘93 alla fine darà molte sorprese». Oltre alle consuete polemiche. Un post del M5S Massimo Fraccaro che ha accusa Napolitano di «reticenza» e di «trascinare nel fango le istituzioni» ha scatenato e accuse di vilipendio.
Ma lui, Napolitano, in abito blu, ieri si è mostrato, a detta di molti, «sereno e rilassato». Pronto anche a sdrammatizzare con «non sono Pico della Mirandola». Ma c’è chi dice commosso, nel ricordare Loris D’Ambrosio: «Eravamo una squadra». Seduto al suo scrittoio nella sala del Bronzino ha risposto alle domande poste dai pm e degli avvocati: quelli di Dell’Utri, Giuseppe di Peri e Pietro Federico, e dell’ex generale Mori, Basilio Milio non ne hanno poste «per rispetto — ha detto quest’ultimo — alla figura e alle funzioni del capo dell Stato».
Nessuno ha chiesto a Napolitano se abbia mai saputo di una «trattativa» Stato-mafia. La stessa parola non è stata pronunciata. Napolitano ne ha parlato in riferimento alla lettera sugli «indicibili accordi» inviatagli da Loris D’Ambrosio prima di morire stroncato da un infarto, dopo aver deposto sulle telefonate ricevute dall’ex ministro Mancino, accusato di falsa testimonianza. Al legale di Mancino, Krogh, Napolitano ha confermato che il timore di D’Ambrosio di essere considerato «un utile scriba» per la trattativa «era una mera ipotesi priva di basi oggettive».
Ma rivelazioni importanti ne ha fatte, Napolitano. A partire dall’aut aut di Cosa nostra percepito dalle massime istituzioni dopo le stragi del ‘93. Ai ricordi dei timori di un colpo di Stato, condivisi con Carlo Azeglio Ciampi, dopo un black out a Palazzo Chigi, via via fino alle conferme di aver saputo dall’ex capo della Polizia, Parisi, di un rischio di attentato nei suoi confronti. La domanda sul famoso «io non ci sto» di Oscar Luigi Scalfaro è stata esclusa dalla lista.
Virginia Piccolillo



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