Alluvioni e prevenzione. Da dieci anni si attende il piano per il clima

Alluvioni e prevenzione. Da dieci anni si attende il piano per il clima

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Sono alluvioni colpose. Potevamo avere mappe con le aree a rischio, per impedire che si muoia nel sonno durante un bombardamento d’acqua. Potevamo avere criteri di sicurezza infrastrutturale più avanzati, per evitare che le linee ferrate vengano travolte dalle frane. Potevamo creare posti di lavoro in una nuova edilizia, per riusare il terreno invece di continuare a rubarne tre metri quadrati al secondo. Bastava rispettare gli impegni solennemente assunti dieci anni fa alla Conferenza sull’adattamento climatico. A quell’appuntamento Romano Prodi, all’epoca presidente del Consiglio, e vari ministri assicurarono che di fronte alla concretezza della minaccia climatica non agire sarebbe stato irresponsabile. Ma i governi successivi hanno accantonato quella priorità: il piano non è ancora operativo e solo pochi mesi fa è partita la consultazione pubblica sul progetto presentato dal ministero dell’Ambiente.

«L’idea di un nuovo atteggiamento da adottare per fronteggiare il cambiamento climatico, che tra l’altro sarebbe anche l’occasione per un rilancio economico in direzione green, non è penetrata né nella pubblica amministrazione né nel senso comune», osserva Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente della Camera. «Il dramma di Livorno è avvenuto in una zona di villette: a ignorare le regole base in condizioni di emergenza climatica non sono solo gli emarginati. E’ successa la stessa cosa a Olbia pochi anni fa. In tanti continuano a pensare che quando diluvia si può stare in uno scantinato o in un sottopasso: non sanno che così rischiano la vita».

«La due giorni sul clima del 2007, preceduta da un anno di conferenze tecniche organizzate dalle Arpa e dall’Ispra, doveva dare il via a una grande operazione di alfabetizzazione climatica del Paese e a provvedimenti concreti per ridurre il rischio», commenta Alfonso Pecoraro Scanio, che organizzò l’appuntamento come ministro dell’Ambiente. «Ma il progetto fu fermato e, nonostante le evidenze scientifiche, alla fine nessuno dei piani per mettere in sicurezza il Paese è stato realizzato».

Eppure – assicura il climatologo Vincenzo Ferrara che fu il coordinatore scientifico della conferenza – il quadro delle previsioni formulate nel 2007 si è puntualmente avverato. L’Italia e il Mediterraneo hanno conosciuto una progressione del rischio superiore a quella di altre aree del pianeta. E, ovunque, i fenomeni meteo estremi hanno subito un’accelerazione drammatica: gli standard che 20 anni fa garantivano la sicurezza oggi sono insufficienti, il vecchio buon senso si è trasformato in una trappola, manca un coordinamento efficace e credibile delle emergenze ambientali. Mentre in altri Paesi attorno ai nuovi bisogni sta nascendo una nuova economia basata sull’efficienza, sulle fonti rinnovabili, sull’economia circolare, l’Italia rischia di rimanere paralizzata dall’incertezza sulla strada da prendere.

«E’ vero, c’è stato un ritardo, ma questo governo ha preso l’impegno di approvare il piano nazionale di adattamento e lo faremo entro la fine dell’anno», assicura il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. «Si tratta di creare le basi per una progettazione tecnica in linea con i nuovi dati che la comunità scientifica offre, a partire da quelli sulla crescita dell’intensità delle piogge. E di rafforzare il dialogo tra amministrazione locali e centrali in modo da prevenire i danni e dare una risposta efficace agli allerta meteo ».

L’elaborazione di questo piano di adattamento (che molti Paesi europei hanno già adottato) ha però richiesto 6 anni e le 195 pagine di cui si compone al momento sono un lungo elenco di progetti che non hanno priorità né finanziamenti. Per renderlo operativo bisogna raggiungere accordi con le Regioni, inserire scadenze precise, trovare fondi. E il caos climatico non ci dà altri 6 anni di tempo.

 

Fonte: ANTONIO CIANCIULLO, LA REPUBBLICA



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