Ritorna il terrore a Gerusalemme Lupo solitario spara sulla folla: 2 morti

Ritorna il terrore a Gerusalemme Lupo solitario spara sulla folla: 2 morti

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GERUSALEMME La collina porta ancora il nome di quando a Gerusalemme comandavano i britannici e quassù avevano fortificato il deposito delle Munizioni. Adesso è una caserma della polizia israeliana e una delle fermate più conosciute del treno leggero perché in questo punto i vagoni ipermoderni corrono lungo la Linea Verde. Il confine che divideva la città fino alla guerra di quarantanove anni fa attira gli attentatori palestinesi che arrivano dalla parte orientale, il piano preparato da soli nel chiuso delle stanze.

Come ieri mattina. Misba Abu Sbeih ha abbassato il finestrino dell’auto e ha cominciato a sparare contro i passanti in attesa del tram. Ha ucciso una donna e uno dei poliziotti che lo inseguiva, prima di essere fermato e ammazzato, i feriti sono cinque. Un «lupo solitario», così li chiamano i servizi segreti. Anche se Misba apparteneva al gruppo fondamentalista Murabitun: i suoi fedeli vogliono proteggere la moschea Al Aqsa e si scontrano con gli agenti o i radicali ebrei che provano a pregare nella Spianata sacra ai musulmani. Era già stato arrestato e avrebbe dovuto entrare in carcere per una condanna a quattro mesi: dalla sua pagina Facebook incitava alla violenza e all’odio.

Invece della cella ha scelto di ammazzare e di farsi ammazzare. La televisione di Hamas ha trasmesso dalla Striscia di Gaza quello che sarebbe il suo ultimo messaggio. Esorta gli islamici a seguire il suo esempio: «Fate come me». Adesso l’intelligence teme che i giovani arabi possano dargli ascolto, gli attacchi terroristici come questo generano l’effetto imitazione. Da dieci giorni l’ondata di assalti, che sembrava finita in estate, ha ripreso intensità.

Le forze di sicurezza sapevano che il periodo tra Id Al-Adha, celebrato dai musulmani, e le festività ebraiche avrebbe rianimato gli estremisti. Spesso incitati dal sospetto — malgrado le rassicurazioni del premier Benjamin Netanyahu — che il governo israeliano voglia cambiare gli accordi per l’accesso alla Spianata delle Moschee e permettere agli ebrei di pregare (qui sorgeva il Tempio prima della distruzione) in quello che è il terzo luogo più sacro per l’islam. O spinti dalla disperazione di aver perso un parente proprio negli stessi attentati: pochi giorni fa una ragazzina palestinese di 12 anni è stata ferita dopo aver disobbedito all’alt dei soldati. Non era armata, non aveva neppure un coltello, ha solo detto «volevo morire, mi manca la zia». Che era stata ammazzata un anno fa dopo aver colpito dei militari.

La paura che torna a Gerusalemme contraddice l’ottimismo del sindaco Nir Barkat: quindici giorni fa ha esaltato le misure decise per scoraggiare gli arabi, dalle punizioni collettive (come i posti di blocco che chiudono gli ingressi ai villaggi dove vivevano gli assalitori) alle sanzioni amministrative (i permessi di lavoro cancellati ai parenti). Rappresaglie che gli ufficiali dell’esercito considerano invece poco efficaci: in questo ultimo anno sono stati loro a suggerire la strategia più morbida per evitare i disagi e le sofferenze alla popolazione civile. Sanno che il presidente Abu Mazen è debole, non sarebbe in grado di controllare i disordini e le proteste tra i palestinesi.

Lo Stato Maggiore deve anche contrastare le proposte aggressive di Avigdor Liberman, il ministro della Difesa e politico ultranazionalista, che potrebbe sfruttare l’ondata di attacchi per imporre l’azione militare. Insediato da qualche mese nel palazzo della Kiriya, il Pentagono israeliano a Tel Aviv, ha portato con sé le idee e i piani che proclamava dall’opposizione. Tra l’altro sostiene che il prossimo (possibile) conflitto con Hamas debba essere l’ultimo: obiettivo della guerra diventerebbe togliere al gruppo fondamentalista il controllo di Gaza. Proprio poche settimane fa i generali hanno coordinato un’operazione di addestramento che simulava lo scenario peggiore: scontri in Cisgiordania, Hamas che entra nella sfida dalla Striscia ed Hezbollah che apre il fronte nord dal Libano.

Davide Frattini

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