Ultimi scatti dall’inferno di Misurata

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BENGASI — Ci vuole poco per morire a Misurata. Ieri è toccato a un celebre fotoreporter e regista inglese, Tim Hetherington, 41 anni, nominato all’Oscar per il suo film Restrepo, ma soprattutto noto come fotografo di guerra. Con lui sono rimasti feriti altri tre colleghi. L’inglese Guy Martin e l’americano Chris Hondros: quest’ultimo, apparso subito in gravissime condizioni, è spirato dopo ore di coma a causa delle schegge penetrate nel cervello. Il quarto, Michael Christopher Brown, sembra invece meno grave. Le notizie arrivano confuse dalla città  assediata. La ventina di giornalisti stranieri che vi si trova in questo momento segnala che i quattro sarebbero stati investiti dalle esplosioni di proiettili di Rpg, le armi anticarro, nella zona che da almeno tre settimane è al centro dei combattimenti tra via Tripoli e via Bengasi. Un incrocio fatto di palazzi semidistrutti, carcasse di carri armati e cingolati bruciati, asfalto fuso dagli incendi, rottami e immondizie dovunque. Con i colleghi della Bbc e della Tv italiana ci eravamo arrivati giovedì scorso per una breve visita sul campo. Avvicinandosi si resta impressionati dalle distruzioni. Una terra di nessuno, dove i combattenti riconoscono dal sibilo delle pallottole se il nemico è vicino, se il colpo è un pericolo o andrà  a cadere nei quartieri vicini. Qui è centuplicata la caratteristica centrale che impera sull’intera area urbana: non esiste un luogo veramente sicuro. Bombe e proiettili possono arrivare dovunque e in ogni momento. Era probabilmente inevitabile che qualche giornalista rimanesse colpito. È nella logica delle cose. Da metà  marzo, con l’inizio dell’intervento militare Nato in Libia, sono aumentate le navi umanitarie e i pescherecci della resistenza libica che da Bengasi si recano a Misurata. I ribelli sono ben contenti che i giornalisti raccontino della barbarie dell’assedio. Sbarcati al porto (sembra domenica sulla nave organizzata dalla International Organization for Migration per evacuare circa 1.000 lavoratori immigrati soprattutto da Egitto e Sudan), i quattro foto-giornalisti hanno raggiunto la clinica Al Hekma, dove da oltre una settimana operano 7 volontari di Emergency. Qui è possibile dormire nei sotterranei, avere qualche cosa da mangiare, trovare informazioni, parlare con i medici e con i guerriglieri che accompagnano i compagni feriti. Il passo successivo è cercare di raggiungere le zone dei combattimenti più intensi. Per i foto reporter via Tripoli è ormai una tappa quasi obbligata. I pochi abitanti rimasti operano come guide improvvisate tra le macerie, i guerriglieri fanno di tutto per spingerti nei punti più esposti. Negli ultimi giorni sono riusciti a trasportare grandi container pieni di sabbia e piazzarli come barricate per cercare di bloccare i carri armati nemici. Se vi è un attimo di tregua è anche possibile cercare di fotografare gli edifici della Facoltà  di Scienze, dove sono appostati i cecchini nemici. La testimonianza è importantissima. Ma il rischio enorme.


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