E sulla parola “sacrificio” la Fornero scoppiò in lacrime

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Anche i tecnici allora hanno un’anima. Il ministro del Lavoro Elsa Fornero stava spiegando con grande chiarezza e intensità  il decreto sulle pensioni.
Ma arrivata al punto in cui a milioni di pensionati era richiesto di accettare, tanto per cambiare, la miseria di quei quattro soldi che già  ricevono, e anche meno, non ce l’ha fatta più.
È stata un scena imprevedibile e sconvolgente. Ha accennato un breve, mesto sorriso e dopo aver fatto un richiamo al “costo psicologico” di questa decisione, è parsa prendere fiato, ha spalancato gli occhi, ha detto che era necessario “chiedere un…” ma quella parola le si era bloccata in gola e scuotendo leggermente il capo, no, no, non riusciva proprio a dirla.
Quella parola era, anzi è ancora: “Sacrificio”. Parola che nella lingua del potere si colora in genere di terribile ipocrisia, perché i sacrifici, più che chiesti, vengono imposti – e chi li impone paga solo un prezzo psicologico, appunto, mentre chi li subisce li vive giorno per giorno nella carne e nell’anima.
Il presidente Monti sembrava addirittura seccato. L’ha detta lui quella parola e ha proseguito. Per alcuni interminabili istanti, segnati dal rumore dei flash che sparavano all’impazzata su di lei, la Fornero ha pianto calde lacrime con la mano sulla bocca, come una bambina.
A fare i giornalisti si rischia di diventare scettici e di questi tempi anche cinici. Eppure quel pianto è uguale e diverso da tanti altri, anzi per la verità  da troppi altri che si sono visti e rivisti e commentati sui palchi della politica, ma anche in Parlamento, nei processi, e soprattutto nei talk-show.
Perché da una ventina d’anni la politica privilegia il calore, accarezza il versante personale, ma così è diventata schiava delle proprie emozioni e i suoi uomini e le sue donne in qualche modo coltivano con inconfessabile ardore la fragilità  dei propri nervi e in qualche modo se la spendono anche, fra gli applausi del pubblico, come una risorsa finalizzata alla caccia di un consenso elementare, di cuore, umanizzante.
Non è stato sempre così. Un tempo nei leader e nei ministri era implicito l’autocontrollo. Basti pensare che nel 1988 fecero scalpore le lacrime del neopresidente del Consiglio De Mita al funerale del suo amico Ruffilli, assassinato dalle Br. È anche possibile che ci sia un nesso fra il declino delle ideologie, la sconfitta delle culture politiche del novecento e la frequenza degli scioglimenti emotivi. Fatto sta che da allora, e precisamente dai singhiozzi di Occhetto al termine di un congresso che segno l’addio del comunismo, ecco, è sicuro che un approssimativo censimento delle illustri e spesso anche illustrate commozioni richiederebbe una dozzina di pagine di giornale – e giusto per menzionare le ultimissime occorrenze del potere emozionale si arriverebbe alla Carfagna, che si è peritata lei stessa di raccontare ai lettori di essersi commossa nel dare l’addio ai collaboratori durante il trasloco.
Eppure, l’immagine della Fornero, ministro del Lavoro del governo più freddo della storia repubblicana, non dice solo l’impeto, la passione, l’energia che prevale nelle persone che si buttano dentro un progetto e ne sentono addosso l’inesorabile carico di responsabilità . Ma forse dicono anche, quelle lacrime, a un livello cui le parole difficilmente attingono, la vergogna di una resa anche personale; dicono magari la sconfitta di fronte a quella che è intimamente sentita come un’ingiustizia; dicono la stanchezza dei luoghi comuni e delle frasi fatte e delle parole antiche e spaventose usate per cavarsela davanti ai giornalisti, passando sopra alla vita vera di tanta gente.
E sarà  anche perché in questo tempo di visioni a distanza ci si infervora nel nulla dei particolari, ma prima ancora della scena madre faceva impressione la lunga ruga che dalla fronte arrivava quasi tra gli occhi del ministro, indizio di ansie e più ancora di ansie che non si vogliono mascherare.
Così come, dopo tutto, è stato anche più bello del pianto vedere che il ministro del Lavoro ha voluto riprendere la parola per chiedere scusa. In un momento che è veramente drammatico il melodramma piagnucoloso all’italiana rischia infatti di peggiorare tutto. E se pure le lacrime di un potente debbono lasciare il tempo che trovano, una volta appurato che sono autentiche nel loro dolore toccherà  accoglierle a parziale consolazione di quelle che verseranno milioni di pensionati. Vittime di un sacrificio deciso da persone che vedono piangere, ma solo in tv.


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