Punti Fermi Frasi Vuote

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Ai partiti conviene suscitare aspettative irrealistiche sulla crescita. Al governo non conviene affatto. Al governo conviene battere e ribattere sui tre punti che elenco di seguito, farli diventare senso comune tra i cittadini, tra coloro che dovranno eleggere nella primavera del 2013, se non prima, un nuovo governo «politico».
Primo. Il cambio di governo, la «fase uno» e il rigore erano necessari. L’Italia doveva avere un governo credibile, capace di interloquire con le istituzioni europee e internazionali e di prendere misure di riduzione del disavanzo che il precedente non era in grado di imporre. La responsabilità  di essere arrivati a una situazione drammatica ricade tutta sui governi degli anni 2000, che non hanno profittato delle condizioni favorevoli precedenti alla grande crisi finanziaria americana per ridurre la crescita della spesa pubblica e abbattere in modo rilevante il debito. Ma, come tutte le misure di riduzione del disavanzo in condizioni internazionali sfavorevoli e senza possibilità  di manovrare cambio e politica monetaria, il loro impatto non può che aggravare una recessione ormai alle porte.
Secondo. Al fine di rendere la recessione meno grave, il governo si muove sul piano internazionale affinché l’Unione e i suoi Paesi leader rafforzino in senso favorevole alla crescita le deludenti conclusioni cui è giunto l’accordo intergovernativo del 9 dicembre scorso. E spero si muova anche per negoziare condizioni meno recessive di quelle che conseguirebbero — stando così le cose — al tentativo di raggiungere il pareggio nel 2013: si tratterebbe infatti di condizioni ammissibili alla luce del Trattato dell’Unione Europea. Dovrebbe essere ormai chiaro che — in presenza del governo Monti — il problema non è più il rigore, ma la crescita, e che una nuova manovra recessiva sarebbe disastrosa anche nella valutazione dei mercati, assai più preoccupati della recessione che del disavanzo. Monti farà  tutto il possibile, ed è il miglior negoziatore di cui possiamo disporre, ma ovviamente i risultati non dipendono solo da lui.
Terzo. Nel periodo breve e medio saremo in recessione, e quel che il governo si accinge a fare ricade in due categorie: mitigarne gli effetti sulle famiglie (equità ) e sulle imprese (sviluppo); predisporre misure che rendano più efficiente e competitiva l’economia e i servizi forniti dal settore pubblico. Quanto agli interventi che ricadono nella prima categoria, molte delle misure allo studio hanno però il difetto di esigere risorse e queste sono assai scarse in una situazione fortemente recessiva. Alla seconda categoria appartengono misure a costo economico basso o nullo, ma a costo politico alto: le liberalizzazioni, la lotta alle rendite, gli interventi sul mercato del lavoro, le spending reviews nel settore pubblico e le conseguenti riduzioni di spesa, la lotta all’evasione. Tutte misure essenziali per una crescita vigorosa quando ci sarà  una bava di domanda che la sosterrà : il fatto che oggi non ci sia non è certo un motivo per non prenderle, ma bisogna essere consapevoli che i loro effetti non saranno immediati.
Chi pretende da questo governo risultati immediati in termini di crescita non sa di che cosa parla. O meglio, lo sa benissimo, ma vuole arrivare all’appuntamento elettorale del 2013 in condizioni propagandistiche favorevoli. Questa mi sembra in particolare la strategia del Pdl, mentre il Pd è bloccato nel tentativo di difendere le sue alleanze sociali tradizionali. Il messaggio che il Pdl sta iniziando a costruire è invece chiaro: «Noi siamo una forza responsabile e abbiamo appoggiato lealmente Monti e il suo governo, a differenza della Lega e dell’Idv. Ma Monti non ci ha dato la crescita, come aveva promesso, e in realtà  si stava meglio ai tempi del governo Berlusconi». È un messaggio insidioso e capace di presa nelle condizioni di disagio sociale che prevarranno al momento delle elezioni e Monti farebbe bene a contrastarlo. Non tanto per un interesse elettorale — non ne ha — ma perché sa benissimo che, anche se si arrivasse a elezioni alla fine della legislatura e non prima, egli lascerà  il cantiere delle riforme in buona misura aperto e sarà  un governo politico che dovrà  continuare i lavori. Sarebbe un vero guaio, per il Paese, se i «politici» non proseguissero o disfacessero quanto i «tecnici» hanno cercato di costruire.


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