Giornalista o scrittore sempre uomo in rivolta

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È il 25 novembre 1939, Hitler ha invaso la Polonia, la Seconda guerra mondiale è cominciata da due mesi. Camus ha ventisei anni, ha pubblicato due raccolte di racconti e soprattutto un’inchiesta sulla miseria della Kabilya su Alger républicain, prima di fondare con Pascal Pia Le Soir républicain, che dal 27 agosto di quell’anno combatte ogni giorno contro la censura introdotta nell’Algeria francese. Ma quello per la libertà  di stampa è solo uno dei fronti sui quali Camus è in rivolta. Dall’anno prima e per tutto il periodo in cui lavorerà  al nuovo giornale (che chiuderà  il gennaio dell’anno successivo), sui taccuini che ha iniziato a tenere compare, si sviluppa e si conclude il suo primo romanzo, Lo straniero. 
Di giorno caporedattore, di notte scrittore. Di giorno riempie le colonne con le notizie che faticosamente riesce a dare, mentre lascia bianche quelle con le notizie censurate, un atto di denuncia, perché «nessuna forza al mondo può fare accettare a un uomo di servire la menzogna». Di notte a confrontarsi con la sua creatura letteraria, questo strano uomo che con lo stesso stato d’animo ama una donna, assiste alla morte della madre, uccide, viene processato e subisce la condanna a morte. Di giorno la rivolta, di notte l’assurdo. Di giorno la vita ha un senso, di notte non ne ha. 
Per il resto dei suoi anni Albert Camus combatterà  contro questa contraddizione. Si può essere uomini giusti se nulla ha senso? Può Sisifo continuare a portare il suo masso sulla cima della montagna sapendo che una volta arrivato il masso rotolerà  di nuovo giù? Ci si può ribellare sapendo che non c’è una causa superiore a cui votarsi? E infine, si può essere giornalisti liberi quando non c’è libertà ? Camus ha risposto nell’unico modo che sentiva possibile: agendo con l’ostinazione dell’uomo che si rivolta «di fronte a ciò che lo nega». È l’ostinazione del giornalista che viene fuori da questo articolo sulla libertà  di stampa ritrovato da Le Monde in un archivio di Aix-en-Provence e di cui non si sapeva nulla fino a oggi. Il giornalista che si batte per nazionalizzare l’industria bellica perché la guerra non sia decisa da interessi privati, contro il razzismo dei pieds noir, i coloni francesi in Algeria, e dei governi che continuano a opprimere «quelli che hanno il naso come non dovrebbero avere o parlano una lingua che non dovrebbero parlare». 
Tutto questo mentre contemporaneamente cresceva nascosto dentro di lui lo scrittore, il filosofo. Racconta Meursault, voce narrante de Lo straniero, mentre si svolge il suo processo e guarda verso i giornalisti in aula: «Avevano già  la penna in mano. Avevano tutti la stessa aria indifferente e un po’ ironica. Tuttavia uno di loro, molto più giovane degli altri, aveva lasciato la penna appoggiata sul tavolo e mi guardava. Nella sua faccia un po’ asimmetrica non vedevo che i suoi occhi, molto chiari, che mi esaminavano attentamente, senza esprimere nulla che fosse definibile. E ho avuto l’impressione strana di essere guardato da me stesso».


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