“Perché grazie a Harry Potter i lettori riscoprono il genere”

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Lo spazio è un “paese” per vecchi. Almeno secondo John Scalzi, che nel suo romanzo fa combattere contro gli alieni un manipolo di 75enni, tra cui John Perry, protagonista di
Morire per vivere,
primo titolo di una trilogia tradotto adesso da Gargoyle. Scalzi è presidente dell’associazione di scrittori americani di fantascienza – la Science Fiction and Fantasy Writers of America – anima
Whatever,
blog da 50 mila contatti al giorno, ha fatto da consulente per la serie tv
Stargate Universe.
E, a 30 anni dalla scomparsa di Philip K. Dick, e a pochi giorni da quella di Bradbury, assicura: «La fantascienza non è morta schiacciata dal fantasy. Tutt’altro».
Mr Scalzi, ma Harry Potter e i colleghi del fantasy non hanno ucciso la fantascienza almeno in termini di vendite?
«Harry Potter non solo non ha ucciso la fantascienza, ma il suo successo ha prodotto una nuova generazione di lettori. Il genere è penetrato nel segmento del mercato young adult. Si spiegano così i successi delle serie
Hunger Games
di Suzanne Collins e di Scott Westerfeld. Questi libri, ambientati in un futuro imprecisato, sono letti dagli stessi ragazzi che, finite le avventure di Harry, si chiedono: “Che c’è dopo?”. Per quanto riguarda le vendite dei libri, è vero, il fantasy va meglio. Ma questo non significa che la fantascienza soffra. Al momento ci sono in attività  autori ottimi: Iain Banks, China Miéville, Charles Stross. E non bisogna dimenticare l’influenza che il genere continua ad avere sui
Con la rapida evoluzione delle tecnologie, per gli scrittori non è diventato più difficile immaginare il futuro?
«Non è che immaginare il futuro sia più difficile. Il problema, semmai, è che il futuro arriva con maggiore velocità  di prima. Elementi che fino a due o tre anni fa sembravano fantascientifici ora sono parte integrante dei nostri
smartphone. Credo che la soluzione per gli autori di fantascienza sia di non concentrarsi troppo sulla previsione delle future tecnologie. È molto più importante sviluppare idee e personaggi interessanti sui cui costruire i prossimi libri. D’altronde, se leggiamo ancora
1984
di Orwell, non è per la tecnologia che immagina, ormai superata, ma perché ancora ci sconcerta e tutti temiamo di diventare come il suo protagonista, Winston Smith».
Dick influenza ancora il genere?
«Se Dick fosse vivo, si stupirebbe dell’influenza che ha sugli autori di oggi: riprendono di continuo i temi e le invenzioni delle sue opere. Prima la fantascienza era divisa in due filoni: uno più chiaramente commerciale e l’altro sperimentale. L’universo di Dick, che in vita faticava a vendere, ha fatto sì che queste due strade si fondessero. E questo grazie anche agli adattamenti cinematografici, tutti successivi alla sua morte » .
Com’è composto il pubblico di lettori forti della fantascienza?
«Negli Stati Uniti, ai festival dedicati alla fantascienza, ci si rende conto che cresce il numero dei fan più giovani. Ma i lettori comunque sono molto diversi per genere, origine sociale e orientamento sessuale. Gli adulti appassionati da decenni sono tanti, però non corrispondono alla sola tipologia di pubblico » .
Lei presiede la Science Fiction and Fantasy Writers of America. Quali sono le attività  dell’associazione?
«Diffondiamo il genere e i suoi ultimi sviluppi. Orientiamo e difendiamo i giovani autori, proteggiamo il loro lavoro da editori senza scrupoli. E assegniamo il premio Nebula, che con l’Hugo Award è il più prestigioso riconoscimento dedicato alla letteratura fantascientifica».
In Italia è da poco uscito
Morire per vivere.
Perché ha scelto come protagonisti degli eroi ultrasettantenni?
«Perché è un romanzo di fantascienza! Per far sì che degli anziani combattano devi immaginare una tecnologia che permetta il “ricambio” dei loro corpi. Mi piaceva poi costruire un universo che avesse continuo bisogno di soldati e ragioni “logiche” per preferire i vecchi ai giovani. Questo è il motivo per cui scrivo di fantascienza: perché creare nuovi mondi, partendo da un’idea folle, è molto divertente » .


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