Attacco pianificato da tempo La pista porta ad Al Qaeda

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ISTANBUL — Al Qaeda colpisce ancora? È la domanda più ripetuta, mentre via via emergono nuovi dettagli sull’assassinio al consolato Usa di Bengasi l’altra notte dell’ambasciatore americano in Libia, il 52enne Christopher Stevens, assieme a tre connazionali. Un evento che sferra un colpo gravissimo all’immagine internazionale e agli equilibri interni del Paese. A poco meno di 13 mesi dalla presa di Tripoli da parte delle brigate ribelli con il sostegno Nato, la Libia cerca faticosamente di costruirsi un futuro democratico. Il 7 luglio lo svolgimento tutto sommato regolare delle elezioni per il primo parlamento dopo 42 anni di dittatura aveva sollevato grandi speranze. Fino a ieri sera era in forse la scelta del prossimo premier, ma a ora tarda è giunta notizia della vittoria al ballottaggio del candidato islamico Mustafa Abou Shaqour contro il moderato Mahmoud Jibril. E ciò mentre negli ultimi mesi si sono ripetuti attacchi violenti contro diplomatici e rappresentanti stranieri, oltre a non essere cessate le frizioni interne tra le milizie rivoluzionarie e persino con i sostenitori del vecchio regime. Eppure l’attentato di Bengasi sembra diverso nelle strategie e nelle modalità  dalle violenze che l’hanno preceduto nell’era del post Gheddafi. Appare sempre più evidente che i suoi autori sapevano bene come e dove colpire.
La copertura potrebbero essere le proteste in crescita in larga parte del mondo musulmano contro il nuovo video creato in Usa e diffuso su Youtube che offende l’Islam e Maometto. Martedì sera, mentre centinaia di giovani erano assiepati di fronte alla sede diplomatica Usa a Bengasi, manifestazioni violente investivano l’ambasciata americana del Cairo. Ma a Bengasi poco dopo le 21 dalla folla si staccano alcuni uomini armati di mitra e bazooka che fanno fuoco. Il consolato brucia, viene saccheggiato. I racconti a questo punto sono confusi. Il caos è tale che Stevens morente viene portato all’ospedale senza che nessuno lo riconosca per ore. Secondo i medici, sarebbe stato asfissiato dai gas dell’incendio. C’è chi parla di un’invasione di oltre 2.000 giovani arrabbiati nella villetta che ospita il consolato, dove si trovava l’ambasciatore arrivato poco prima da Tripoli per verificare gli umori tra la popolazione in questa che è considerata la zona madre delle rivolte del 2011. Sono segnalate vittime anche tra la polizia libica. Altre versioni raccontano però di un commando di una decina di uomini che non esitano a usare le armi pesanti. «È stata una vera azione militare iniziata con una grande esplosione», ha dichiarato il console italiano Guido De Sanctis, che ha assistito alle violenze. Per lui le memorie risalgono al 2006, quando venne attaccato il suo consolato. Pare però che il commando abbia un’ottima intelligence. Tanto che sembra non abbia difficoltà  ad individuare la villa-rifugio dove scappano due americani. «Due di loro sono morti nel consolato e due nel rifugio. È strano. Come potevano gli aggressori conoscere la villa segreta degli americani?», ha ammesso il viceministro degli Interni libico ad interim, Wanis Al Sharif. Ieri la tv americana Cnn citava think tank militari per cui l’attacco avrebbe il marchio inconfondibile di Al Qaeda. I motivi? Una vendetta per i suoi leader assassinati e l’interesse a destabilizzare la Libia. E poi, come si può credere che la data dell’11 settembre sia solo una coincidenza? Inviati 200 marines a protezione delle sedi diplomatiche, Washington ha deciso ieri di evacuare dalla Libia in Germania il personale. Il Pentagono, secondo la Cnn, userà  gli aerei senza pilota per colpire i nidi dell’eversione nel Paese.
Lorenzo Cremonesi


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