Addio al campione di ping pong che avviò il disgelo fra Cina e Usa

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PECHINO — Era una mattina di aprile del 1971 a Nagoya, in Giappone. Campionati del mondo di ping pong. Un giocatore americano aveva perso il pullman della sua squadra, passava quello cinese e gli fu offerto un passaggio. Un gesto contro il protocollo, perché a quei tempi Stati Uniti e Repubblica Popolare non avevano rapporti e agli atleti di Pechino era vietato anche solo rivolgere la parola agli yankee capitalisti e imperialisti. Sul bus, però, c’era un giocatore cinese tanto amato nel suo Paese da potersi permettere un’infrazione ardita: Zhuang Zedong, tre volte campione del mondo nel singolo, che aveva inventato un modo rivoluzionario di tenere la racchetta e quel giorno inventò anche «la diplomazia del ping pong».
Zhuang è morto ieri a Pechino a 73 anni, dopo aver attraversato tutte le avventure della Nuova Cina ed esserne stato protagonista.
Perché su quell’autobus il campione cinese fece salire anche la Storia: «Erano passati dieci minuti e nessuno della nostra squadra aveva osato guardare lo straniero in faccia. Ma io pensai che era solo uno sportivo, non un politico. Mi alzai, chiamai l’interprete e andai a salutarlo», raccontò poi, in innumerevoli occasioni. Quello che Zhuang disse all’americano Glenn Cowan è entrato nella leggenda: «Anche se il governo degli Stati Uniti non è amichevole nei confronti della Cina, gli americani sono amici dei cinesi. Ti farò un regalo per provartelo». Il cinese tirò fuori dalla borsa una sciarpa di seta con stampata un’immagine dei monti Huangshan, c’erano dei fotoreporter e l’istantanea finì sui giornali.
A Pechino e a Washington evidentemente i tempi erano maturi per il disgelo. Mao Zedong disse al suo ministro degli Esteri Zhou Enlai di invitare la squadra Usa in Cina. Dieci mesi dopo, nel febbraio del 1972, il presidente Richard Nixon varcava la soglia della Città  Proibita grazie al miracolo della «diplomazia del ping pong» (e agli incontri segreti del suo superconsigliere Henry Kissinger con Zhou Enlai). Nel 1979 Cina e Usa ristabilivano piene relazioni, cambiando il corso della Guerra fredda.
Mao si dimostrò grato e generoso con il campione: «Zhuang ha dimostrato di avere grande talento anche come diplomatico», disse.
Il giovane però non aveva bisogno di gesti teatrali come quelli dell’autobus per diventare famoso. Aveva vinto i suoi tre titoli mondiali negli anni Sessanta, quando la Cina contava solo sul ping pong per primeggiare nello sport. La gente, allora, si riuniva intorno alle radio per ascoltare le cronache dei suoi match.
L’uomo che aveva lanciato la diplomazia del ping pong, però, meritava un premio, molti premi: fu chiamato nel Comitato centrale del partito comunista, fu nominato ministro dello Sport quando aveva poco più di trent’anni.
Ma alla morte di Mao, nel 1976, fu coinvolto nella resa dei conti: individuato come protetto di Jiang Qing, vedova del Grande Timoniere, fu imprigionato. Gli vietarono anche di giocare a ping pong con gli altri detenuti. Tornò dall’esilio interno solo nel 1985.
Ma era un uomo vero e disse: «Durante la Rivoluzione culturale sono stato ingiusto con altre persone, cercando di proteggermi. Ho commesso errori e ho pagato. E sono grato che la gente mi abbia mostrato compassione».
L’altra metà  della storia, l’americano Cowan, è morto nel 2004.
Guido Santevecchi


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