Il 93% dei ricercatori precari è espulso dall’università 

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Prima di spegnere la luce negli uffici di viale Trastevere, il ministro dell’Istruzione Profumo vuole dare fondo ai decreti attuativi della riforma Gelmini. Dopo il decreto sulle borse di studio (se ne riparlerà  il 21 febbraio), sulla valutazione e sull’accreditamento dei corsi di laurea [Ava, ne ha parlato Il Manifesto il 7 febbraio], arriva il «bollino di qualità » sui dottorati. Dopo l’approvazione della Corte dei Conti, quello che dovrebbe essere il più alto grado dell’istruzione universitaria cambierà  radicalmente. Ce ne saranno di meno, e saranno concentrati nelle «scuole» di dottorato con un collegio di 16 docenti che bandiranno un minimo di 4 borse. Novità  più importante è rappresentata dal «dottorato industriale». Sarà  infatti possibile svolgere il dottorato nelle aziende, una sorta di «apprendistato» ad alta qualificazione che chiude il cerchio della riforma Fornero che lo impone già  nelle scuole.
Per la cronaca, anche quest’ultima trovata del Miur non rispecchia la realtà  delle statistiche perché di apprendisti-dottorandi in Italia ce ne sono poche decine e scarse sono le speranze che le aziende ne assumano altri. Tra il 2009 e il 2011 l’apprendistato, quello vero non quello sognato da Profumo (e dalla Gelmini), è crollato del 17%. A una manciata di giorni dalle elezioni, Profumo afferma immancabilmente di avere «allineato il nostro paese all’Europa», mentre invece ha solo confermato l’esistenza di una delle figure dello schiavismo baronale: il dottorato «senza borsa». Cioè un giovane studioso che deve pagare e non essere pagato all’incirca 1200 euro. A Salerno si paga fino a 2.120 euro all’anno, alla Sapienza di Roma 1.413 a Trento «solo» 144 euro.
L’aspirazione di Profumo è agevolare i dipendenti a svolgere un dottorato nella propria azienda. Ormai non è più contemplata l’idea che al dottorato possano accedere i neo-laureati e che possa rappresentare il primo passo di una «carriera scientifica». In più il decreto approfondisce un’altra discriminazione. A differenza di quanto accade in Europa, il dottore di ricerca viene ancora ritenuto un semplice studente – e si sa che gli studenti non hanno bisogno di essere pagati – e non un dipendente degli atenei. Lo denuncia la terza indagine annuale dell’associazione dei dottorati italiani (Adi). I dati parlano chiaro: da almeno tre anni è in atto un’espulsione di massa dei ricercatori precari dalle università . Solo 7 «cervelli» su 100 possono aspirare ad un posticino nell’università . Il restante 93% viene espulso per sempre. Come nel caso del decreto Ava, anche quello sui dottorati non cerca affatto un rimedio, bensì prepara gli atenei alla nuova realtà , quella di un’università  dove i docenti e i «giovani» ricercatori saranno pochi, supersfruttati e malpagati. Il record è quello di Macerata dove c’è un ricercatore ogni 100 «strutturati».
Tra un paio d’anni questa sarà  la realtà  in tutti gli atenei. I settori più colpiti sono quelli scientifici e tecnologici, anche perché nelle aree sociali, filologiche, letterarie e giuridiche la decimazione è già  avvenuta. In quelle scientifiche, più ampie fino a 6 volte di quelle umanistiche, solo il 3% dei giovani ricercatori oggi impegnati con una borsa o un contratto avrà  la possibilità  di restare. Per chi invece ha un contrattino, oppure lavora gratis da archeologo o filolosofo le speranze sono maggiori, fino al 16% dei casi. Un paradosso figlio dell’espulsione di massa dei precari. Come stanno reagendo gli atenei davanti a questo miserabile spettacolo? Ricorrendo ai fondi esterni, di privati, agenzie, fondazioni, banche e progetti europei.
L’Adi ha fatto un censimento dal quale si nota che i Politecnici (Milano, Torinbo, Bari) sono più avvantaggiati del reperimento dei fondi. I settori «più ricchi» vanno dall’ingegneria industriale e dell’informazione alle scienze biologiche, agrarie e veterinarie. Ma questa strategia è poco lungimirante. I fondi non creano posizioni stabili, ma solo contratti a termine che durano un soffio. Con i concorsi bloccati non c’è speranza che la situazione cambi. E, quando arriveranno, saranno gestiti con le regole della riforma Gelmini che ha creato un piccolo nucleo di docenti che gestiscono una galassia di figure precarie ad alto tasso di intercambiabilità  e rottamazione.


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