Quell’incontro con Napolitano che Ted Kennedy rifiutò tre volte

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ROMA — Oggi l’America gli rende omaggio e gratitudine, ma nella lunga guerra fredda non mancarono le difficoltà . Un lungo report pervenuto dagli archivi di Washington riguarda il comunista Giorgio Napolitano, che nel novembre del 1976 — un anno dopo il rifiuto del visto americano per decisione di Henry Kissinger — per ben tre volte tenta di incontrare a Roma Ted Kennedy e per tre volte viene respinto. Così si legge nel documento dell’ambasciatore americano John Volpe (contenuto nel database di WikiLeaks), che riferisce a Kissinger sul soggiorno romano del senatore democratico.
Niente avviene a caso, nel corso del breve viaggio. Sì all’incontro ufficiale con Zaccagnini e Craxi, Andreotti e Leone. Porte aperte naturalmente per Gianni Agnelli. Con i comunisti occorre invece cautela: quel che il Pci riesce a ottenere è un invito a cena per Sergio Segre, responsabile degli affari esteri a Botteghe Oscure, insieme però a trenta ospiti e — raccomanda Kennedy — niente fotografie. Volpe riferisce a Kissinger ogni minimo dettaglio, anche la disposizione a tavola degli ospiti, tenendo sempre ferma la bussola della questione comunista. Tutto ruota intorno al rapporto con il Pci, che proprio quell’anno nelle elezioni politiche di giugno tocca l’apice del consenso elettorale con un clamoroso 34,4 per cento. In Italia sempre più si parla di compromesso storico. E gli americani ne sono terrorizzati.
Italia, la minaccia rossa è il titolo della copertina di Time uscito subito dopo le elezioni. Appena un anno prima Kissinger aveva brutalizzato Moro: «Se fossi cattolico come lei, crederei anche nel dogma dell’Immacolata Concezione. Ma non sono cattolico, e non credo né a questo dogma né all’evoluzione democratica dei comunisti italiani».
Kennedy è abile nello smarcarsi dalle questioni più insidiose. Gli chiedono dell’eurocomunismo, «e lui se la cava rispondendo che certo il Pci era diverso dal partito cinese e da altri partiti comunisti. E alla domanda fondamentale, perché non avesse fatto una breve visita ufficiale a Botteghe Oscure, il senatore ha risposto: “Non sarebbe stato appropriato” ». Poi l’appunto dell’ambasciatore Usa: «Ci risulta che siano stati fatti almeno tre tentativi per inserire l’esperto economico del Pci, Napolitano, nella lista degli incontri, ma la squadra di Kennedy ha rifiutato». Ad evitare che potessero circolare voci su un’apertura ai comunisti — è lo stesso Volpe a suggerire questa interpretazione — il rifiuto opposto a Napolitano serve a rimarcare che «le distanze dal Pci sono ancora nette». Bisogna aspettare ancora due anni prima che il dirigente comunista venga accolto negli Stati Uniti, e sarà  una visita importante, peraltro nei giorni del sequestro Moro. Quanto a Kissinger, nel 2001 a Cernobbio, lo accoglierà  festosamente come “my favourite communist”. Ma Napolitano lo corresse con garbo: “Your favourite former communist”, il tuo ex comunista preferito.
Il “pericolo rosso” è quello che segna l’intero decennio dei Settanta.
E fin da principio si manifestò molto forte l’interesse verso Berlinguer. Tra i documenti colpisce un’informativa dell’ambasciata di Sofia che puntigliosamente descrive l’incidente stradale occorso al segretario al rientro dal suo burrascoso incontro con il compagno bulgaro Zivkov, il 3 ottobre del 1973: l’automobile che lo trasporta viene investita da un camion militare, Berlinguer sbatte la testa ma non è ferito gravemente. La nota arriva appena 9 giorni dopo l’episodio e si limita a una descrizione meticolosa, senza ipotizzare la possibilità  di un attentato da parte del Kgb. Sospetto che invece Berlinguer nutre immediatamente, confessandolo però solo alla moglie e a pochi intimi. Non aveva prove e forse non aveva neppure interesse a rendere pubblico questo timore, così la notizia sarebbe uscita solo nel 1991, con quasi vent’anni di ritardo. E perfino sulla sua salute, allora, l’Unità  preferì sorvolare, con l’effetto paradossale che i lettori del quotidiano comunista seppero dell’incidente di Berlinguer qualche giorno più tardi degli americani.
Le carte talvolta perdono il tono neutrale del resoconto asettico. Succede quando l’ambasciatore Volpe viene a sapere che il segretario del Movimento Sociale, Giorgio Almirante, è stato ricevuto alla Casa Bianca. È il 30 settembre del 1975, la sua nota per Kissinger trasuda incredulità  e rabbia. «Eppure avevo fortemente raccomandato che ciò non accadesse », s’indigna l’ambasciatore. «Perfino i nostri amici sperano che non sia vero». Ricorda le responsabilità  di Almirante nel regime di Salò. «Come possiamo continuare a ergerci a paladini della democrazia e della libertà , fermamente contrari agli opposti estremismi?». È a rischio la credibilità  americana. «Occorre chiarire ufficialmente che non è cambiata la nostra linea contro il neofascismo». Lo spettro del Msi, conclude drammaticamente Volpe, deve essere allontanato.


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