Una società senza servitù volontaria

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È chiaro, infatti, che la plausibilità dell’anarchismo dipende in gran parte dal suo corrispondere o meno alle possibilità della natura umana. Gli studi di Pierre Clastres hanno contribuito in modo determinante al risultato dal quale Barclay prende le mosse, vale a dire «che i dati forniti dall’antropologia confermano la teoria anarchica sul governo» (Lo Stato. Breve storia del Leviatano, elèuthera, pp. 143).
Società è un termine che può essere applicato alle esistenze di molti animali. Con questa parola si intende infatti «un qualsiasi gruppo di organismi che interagiscono socialmente tra di loro per un periodo di tempo prolungato. Una società ha per definizione ordine e struttura». Uno dei dati di fatto più importanti sul quale si fonda la prospettiva anarchica è che la maggior parte delle società umane finora esistite e conosciute non ha avuto né governo né leggi scritte né Stato. Questo non significa, naturalmente, che tali società non abbiano avuto autorità e organizzazione. I governi sono infatti soltanto un modo di organizzare politicamente le società, lo Stato è soltanto una delle forme che assume l’autorità. Nelle società prive di Stato esistono ordine e struttura come in tutte le altre. E quindi «persino l’anarchico riconosce che esistono ambiti per un’autorità legittima», un’autorità condivisa, orizzontale, provvisoria, limitata.
È dal IV millennio a.C. che in Mesopotamia e in Egitto l’esercizio del potere si combina con quello di ideologie forti, dando in questo modo origine a ciò che Morton Fried ha definito legittimità, la quale si basa anche sulla volontà di sottomissione presente negli umani (la servitù volontaria): «Etienne de la Boétie scrisse che una delle ragioni per cui le persone si sottomettono allo Stato è perché sono nate serve e sono state educate a esserlo». La tendenza universale degli ultimi sei millenni di storia – con gli annessi coloniali – è stata quindi la centralizzazione amministrativa, la stratificazione sociale, la statualità politica. Lo Stato è sempre dispotico, anche nelle forme democratiche che siamo pronti a esaltare con tanta facilità. Secondo Barclay, invece, «eleggere qualcuno a una carica pubblica significa semplicemente scegliere il proprio oppressore».
In tempi più recenti lo Stato ha ottenuto un formidabile sostegno ideologico e culturale dall’avvento delle religioni monoteistiche, con la loro idea di un unico Dio che diventa modello di un singolo capo supremo. Gli sviluppi futuri saranno determinati secondo Barclay dalla sempre più radicale contaminazione degli Stati con le grandi corporations transnazionali, ciascuna delle quali detiene una ricchezza e una capacità di azione analoghi a quelle di decine di Stati messi insieme. La previsione dell’antropologo canadese è che di fronte alla ovvia volontà degli Stati/Corporations di fare gli interessi esclusivi dei loro gruppi dirigenti, di fronte alla rarità e parzialità delle rivolte antistatali, il collasso sociale verrà «da un gigantesco disastro nucleare o ambientale» poiché «ancor oggi, gli Stati non hanno preso sul serio la potenziale crisi ecologica, continuando a ritenere prioritario il profitto».
La storia ci insegna che «qualunque Stato alla fine cadrà nell’oblio. L’auspicio è che la potenza anche tecnologica di questi Stati, il loro ampliarsi a dismisura tramite le corporations, la loro assoluta miopia sul futuro del pianeta, non portino alla fine la specie umana e l’intera biosfera. Il Leviatano che compare nella copertina di questo libro – come appariva in quella del libro di Hobbes – potrebbe condurre all’esito, paradossale per tutti ma non per gli anarchici, di una struttura costruita per evitare la distruzione e che invece della distruzione sarà stata la causa determinante.


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