Il potere scientifico dell’Occidente è nell’aver rinunciato alla verità

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Da quest’ultimo editore egli ama raccogliere — ripensando, aggiungendo, sistemando — saggi o interventi nati in diverse occasioni. Ma il suo nuovo libro, La potenza dell’errare. Sulla storia dell’Occidente (Rizzoli, pp. 358, e 19), rappresenta un’eccezione. Non è una semplice raccolta, ché numerose sono le pagine inedite; non è nemmeno un nuovo libro come La morte e la terra oppure Intorno al senso del nulla (Adelphi 2011 e 2013), giacché in esso Severino ritorna, o meglio riapprofondisce alcuni momenti topici del suo pensiero. Non a caso la terza e ultima sezione è dedicata alle postille sulla prima parte, ove si trovano temi quali «democrazia e tecnica» o «l’essenza del nichilismo», vale a dire note problematiche severiniane sulle quali è ancora aperto un dibattito. Insomma, La potenza dell’errare è un libro divulgativo che offre un soddisfacente sguardo teoretico sul pensiero di un filosofo unico nel panorama attuale.
Non è facile parlare con Severino di quest’opera, giacché egli tende ad approfondire ulteriormente le questioni messe in gioco. Ma basta, per esempio, fissare l’attenzione sulle parole di titolo e sottotitolo per cogliere la portata del contenuto: potenza, errare, storia, Occidente. Lo stesso pensatore ci confidava: «Incominciamo dalle ultime due. Occidente significa storia dell’Europa e della sua espansione nel mondo: marxismo, capitalismo, democrazia, individualismo, dimensione planetaria, soprattutto tecnica. Esse si rivolgono agli storici: c’è un sottinteso dialogo con loro, ché praticano ormai lo specialismo così com’è applicato nelle scienze della natura; va detto che si sono anch’essi arroccati nell’atteggiamento specialistico. Qui il dialogo sottinteso con le ricognizioni storiche di ogni tipo è che l’anima delle res gestae dell’Occidente è filosofica. Giustifichiamola rapidamente: si agisce in relazione al significato che ha il mondo per chi agisce: l’agire di un taglialegna è conformato in un certo modo, e non in un altro, perché egli crede di avere dinanzi un albero e non un sasso o un cane; il significato in cui consiste essere albero determina il suo agire». Il pensiero filosofico ha portato alla luce quella fondamentale rete di fondo di significati: ogni forma di azione di ciò che è in rapporto a quei significati, è diventata storia dell’Occidente. E il suo carattere filosofico «è l’anima del pianeta, ovvero il punto di riferimento imprescindibile di ogni storia, indipendentemente dalla coscienza che gli storici ne hanno».
Poi abbiamo sottoposto alla sua attenzione «errare» e «potenza». Severino replica: «Si tratterebbe di capire che avere potenza è essere nell’errore. Viceversa, essere nella verità significa trovarsi in una posizione diversa da quella della potenza. Questo non vuol dire che l’impotente è colui che è nella verità, perché l’impotente è il fallimento del potente (non ho scritto un’apologia dell’impotenza). Tale concetto può essere chiarito dicendo che oggi la tecnoscienza ha rinunciato a essere verità assoluta (lo dichiara esplicitamente) e lo ha fatto perché la verità assoluta, che era la l’oggetto essenziale della tradizione filosofica, impediva l’acquisizione di quelle verità che lo sviluppo dell’esperienza era in grado di fornire e che per altro smentivano (e ancora smentiscono) gli schemi fissi della pretesa di possedere un sapere definitivo. La tecnoscienza è potente proprio per aver rinunciato alla verità. Da qui il titolo La potenza dell’errare ».
Ma a questo punto emerge il tratto più in salita, più nascosto: e cioè che l’agire si fonda sulla persuasione della trasformabilità del mondo. «A partire dai greci — prosegue Severino — la trasformazione è intesa come un andare dal nulla all’essere; ed è proprio questo andare la radice di fondo dell’errare, dove l’errare di cui si sta parlando è qualcosa di essenzialmente più decisivo di qualsiasi colpa originaria o peccato delle origini: è l’abisso più profondo di ogni altro in cui l’uomo può venire a trovarsi, nel quale egli vive e pensa le cose come un nulla».
Dicevamo che la struttura del libro è divisa in tre sezioni. Ciò ha consentito a Severino di puntualizzare ulteriormente, approfittando di tale caratteristica. Per esempio, la prima di esse è intitolata «Scambio delle parti e alienazione della verità». «Alienazione della verità» significa per il filosofo essersi trovati nell’abisso già ricordato: la verità autentica non è più quella della tradizione filosofica, di cui il pensiero scientifico si è liberato. «Ma — aggiunge — anche la filosofia del nostro tempo si è liberata dalla verità della tradizione e per questo si trova in quell’abisso, cioè nell’alienazione della verità autentica». E che dire dello «Scambio delle parti»? Per il pensatore è uno dei fenomeni emergenti dell’alienazione della verità e consiste nel rovesciamento per cui il mezzo, grazie al quale l’agire raggiunge il proprio scopo, è destinato a diventare lo scopo di questo agire. Ci offre un esempio: «Nel cristianesimo la prassi poetica ha come scopo la glorificazione di Dio. Accade già nella poesia cristiana, già in Dante che passa la sua vita a poetare: la glorificazione di Dio diventa il mezzo per la realizzazione del canto poetico, che da mezzo si trasforma in scopo».
In sintesi diremo che Severino vede alla radice della storia dell’Occidente, in concetti quali azione, volontà, potenza, l’alienazione più profonda della verità, o meglio l’estremo disfarsi della verità. Il verbo disfarsi va inteso come nel caso in cui ci si disfa di una ricchezza e si resta impoveriti. O forse: disfatti.



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