Parte subito la competizione E Renzi progetta il rilancio

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Competition is competition. Renzi aveva preannunciato per domani una «sorpresina» a Grillo sul taglio dei soldi alle forze politiche, e ieri Letta ha fatto una «sorpresina» a Renzi anticipando il varo del decreto sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
È l’omaggio del premier alla vigilia dell’Assemblea nazionale che incoronerà il vincitore delle primarie del Pd a segretario. Cambiano i protagonisti della storia, ma la storia si ripete.

Servirà del tempo per capire se la competizione si trasformerà in faida, rinnovando così l’antica maledizione che ha accompagnato il centrosinistra per un ventennio. Una cosa è certa, o i novelli leader democratici troveranno il modo di convivere o saranno condannati entrambi al fallimento, in un’escalation conflittuale che minerà la stabilità del governo ma al contempo logorerà l’immagine del «rottamatore». La mossa di Letta è stata un colpo di avvertimento a Renzi, in vista di una sfida che non si giocherà sui costi della politica, bensì sulla riforma della legge elettorale. E il decreto con cui il premier gli ha strappato la bandiera su un tema così avvertito dalla pubblica opinione, è stato anche un segnale per rimarcare plasticamente il potere delle scelte che gli deriva dal ruolo, e stabilire la linea di demarcazione con il competitore.
Il capo dei democrat — rivendicando di essere stato «il pungolo» del governo — tradisce un certo nervosismo quando prova ad alzare la posta, promettendo che «la storia non finisce qui»: «Perché adesso bisognerà mettere mano ai rimborsi elettorali. E vorrò vedere come reagiranno gli amici degli amici…». L’esecutivo se lo attende e a sua volta si appresta a rilanciare sulla riduzione del numero dei parlamentari, in una corsa al riarmo che al momento non conosce sosta. Ma la zona contesa era e resta la legge elettorale, e non c’è dubbio che facendo spostare alla Camera l’esame del provvedimento Renzi abbia conquistato un vantaggio di posizione su Letta. Nessuno dei due può arrivare però allo scontro e di avvertimento in avvertimento si limitano a messaggi indiretti. Come Renzi attacca Alfano e Quagliariello non potendo attaccare Palazzo Chigi e il Quirinale, così Letta evoca Berlusconi e la breve stagione delle larghe intese per non citare il segretario del Pd, quando dice che «sono finiti i tempi degli aut aut e delle minacce quotidiane».
È un auspicio più che una certezza: il braccio di ferro sulla riforma del Porcellum infatti non è nemmeno iniziato. Renzi fa mostra di essere disponibile a qualsiasi tipo di modifica, «non mi interessano le tecnicalità», pur di ottenere presto una nuova legge elettorale. È uno dei temi su cui ha impostato la campagna delle primarie e deve subito dare una dimostrazione di forza per ricaricare l’arma delle urne che la sentenza della Consulta gli ha sfilato. Ma il punto è che in un quadro politico formato da tre poli e due Camere, non c’è legge elettorale che salvaguardi il bipolarismo e consenta di sapere chi ha vinto dopo lo spoglio. Per raggiungere l’obiettivo è necessario che la fiducia al governo venga data da una sola Camera, e per far questo serve riformare la Costituzione. Così i tempi si allungano, così è chiaro che il voto anticipato in primavera è un miraggio. A meno che Renzi non voglia tentare la roulette russa del proporzionale puro con le preferenze.
Non è così. Ma nonostante i contendenti conoscano il problema, la tensione sembra destinata a salire. Almeno fino a domani, quando il «rottamatore» sarà ufficialmente investito del nuovo ruolo. Dopo si vedrà se davvero tenterà la prova di forza muscolare a Montecitorio, che rischia di spaccare il Pd, oppure si farà prudente. Un segnale in tal senso Renzi l’ha già dato, altrimenti non si spiega come mai non ha mantenuto la promessa fatta un mese fa, quando disse che «entro l’8 dicembre» — giorno delle primarie — avrebbe presentato la sua proposta di riforma della legge elettorale. Di quel testo non c’è traccia. Come sembra fermo il dialogo con Berlusconi, che lo vezzeggia in pubblico mentre in privato lo critica e non si capacita della visibilità mediatica del «giovanotto»: «Tutti quei titoli di giornale… In fondo ha solo sostituito Epifani». E chissà se sarà giunta all’orecchio del Cavaliere la battuta (l’ennesima) di D’Alema sul suo nuovo segretario: «In vita mia ho visto tante di quelle meteore»…
La verità è che il cambio generazionale è in atto, e che i protagonisti della sfida — Letta, Renzi e Alfano — si trovano a un bivio: investire sul tesoretto politico o dissiparlo. Il leader del Pd lo sa, e si è già disposto alla trattativa, affidando al ministro Del Rio — suo braccio destro al governo — una ricognizione con gli alleati della maggioranza sulla riforma del Porcellum. Il titolare per gli Affari regionali ha già parlato con il centrista Mauro, favorevole a un doppio turno di coalizione, a patto che al primo turno i partiti si contino con un proporzionale e soglia di sbarramento.
Tutto in attesa dell’incontro tra Renzi e Alfano, in agenda fin da quando il leader del Nuovo centrodestra ha chiamato il «rottamatore» per complimentarsi dopo le primarie. Il vicepremier non ha fretta, ed esorta i suoi a non prendersela troppo per le «ripetute provocazioni» e certe «cadute di stile» del segretario democratico: «Noi il patto di governo l’abbiamo sottoscritto con Letta», ripete. Come dire che se Renzi volesse davvero far saltare il banco, se la dovrebbe vedere con il presidente del Consiglio. E con il capo dello Stato.
Francesco Verderami


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