L’Occidente sanziona chi?

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Siamo avviati verso un guerra fredda, nuova, o verso una guerra calda? E di quale guerra si trat­te­rebbe? Certo nes­suno parla di pace, e que­sto già dovrebbe pre­oc­cu­pare molti. Invece non è così: tutti sem­brano igno­rare il peri­colo. Ma, nel silen­zio quasi gene­rale, c’è chi pensa al nostro futuro.

Per esem­pio negli Stati Uniti è in corso la resur­re­zione dei «sovie­to­logi», quelli che, con i loro con­si­gli a Clin­ton, con­tri­bui­rono non poco allo sman­tel­la­mento dell’Urss. Pare che a Washing­ton ci sia carenza di cer­velli pre­pa­rati allo sman­tel­la­mento, que­sta volta, della Rus­sia. In un arti­colo del New York Times, signi­fi­ca­mente inti­to­lato «Per­ché la Rus­sia non può per­met­tersi un’altra guerra fredda», Anders Aslund e Strobe Tal­bott indi­cano la via di un «con­te­ni­mento» più o meno mor­bido della Rus­sia di Putin. Di più, secondo loro, non occorre, per­ché il lea­der russo è con­si­de­rato pra­ti­ca­mente già defunto. Dal punto di vista politico.

Non è un otti­mi­smo di fac­ciata. È la con­vin­zione che gli Stati Uniti hanno già visto anche que­sta offen­siva. La Cri­mea diven­terà russa? Sia pure, ma l’Ucraina è stata con­qui­stata. Quanto basta per por­tarla nella Nato, cioè per far sal­tare in aria l’intero sistema della sicu­rezza euro­pea por­tando i mis­sili 300 km più avanti verso nord e verso est. La Cri­mea sarà ripresa subito dopo, quando Putin e la Rus­sia saranno stati liqui­dati entrambi. C’è per­fino chi iro­nizza sulla mossa cri­meana del pre­si­dente russo: pove­retto, non poteva fare di più. Per­ché? Per­ché – scrive il NYT – «la Borsa di Mosca gli stava facendo, men­tre lui flet­teva i muscoli, un refe­ren­dum ostile». Men­tre Putin man­dava i suoi mari­nes a raf­for­zare la guar­ni­gione di Cri­mea e la base navale di Seba­sto­poli, l’indice Rtsi crol­lava del 12% in poche ore, in pieno panico, giun­gendo a inflig­gere una per­dita di oltre 60 miliardi di dol­lari, più del costo delle olim­piadi di Sochi. Il rublo in caduta libera costrin­geva la Banca Cen­trale russa ad alzare il tasso d’interesse dell’1,5% per evi­tare «il» crollo.

Natu­ral­mente Aslund — ora senior fel­low dell’Istituto Peter­son per le rela­zioni inter­na­zio­nali – usa l’arsenale della pro­pa­ganda di Washing­ton, attri­buendo a Putin l’intenzione di inva­dere l’Ucraina, cosa che Putin non ha nem­meno preso in con­si­de­ra­zione. A Washing­ton usano spesso l’artificio dell’attribuire all’avversario ciò che loro pen­sano. La Rus­sia, che pure per­se­gue il pro­prio inte­resse, e dun­que tende a ricom­pat­tare attorno a sé quanta più ex Unione Sovie­tica è pos­si­bile. Ma Putin ha ripe­tuto che le sue inten­zioni e quelle della Rus­sia non inclu­dono la ricon­qui­sta mili­tare di nes­suno dei paesi ex Urss, dun­que nem­meno dell’Ucraina. In effetti molte cose con­fer­mano che Mosca avrebbe pre­fe­rito un refe­ren­dum più mor­bido di quello deciso a Sim­fe­ro­poli. Ma, di fronte alla rea­zione di paura dei russi di Ucraina e di Cri­mea, dopo la car­ne­fi­cina di Piazza Mai­dan, una sua linea cede­vole avrebbe pro­vo­cato una estesa pro­te­sta in Ucraina e in tutta la Rus­sia. Ciò detto, per sgom­be­rare il campo dalla pro­pa­ganda, resta da ammet­tere che i numeri for­niti da Aslund sono reali. Gli Stati Uniti hanno leve deci­sive, finan­zia­rie e poli­ti­che per fare i conti con Putin, se que­sti dovesse deci­dere di non cedere nulla sugli inte­ressi della Rus­sia. A Washing­ton sanno bene che le mag­giori com­pa­gnie ener­ge­ti­che della Rus­sia sono mag­gio­ri­ta­ria­mente sta­tali. Met­terle in dif­fi­coltà signi­fica met­tere in crisi il bilan­cio della Rus­sia. Nello stesso tempo tutte le com­pa­gnie glo­ba­liz­zate russe sono quo­tate nelle Borse di Wall Street, di Lon­dra, di Parigi e di Fran­co­forte. Quasi la metà degli azio­ni­sti di Gaz­prom sono ame­ri­cani (per JP Mor­gan Secu­ri­ties) e la banca che detiene in custo­dia i loro assets è la Bank of New York Mel­lon. È la glo­ba­liz­za­zione, bel­lezza, dice Strobe Tal­bott, ora pre­si­dente del Broo­kings Insti­tu­tion. Tutte le ban­che russe sono sal­da­mente inca­sto­nate nel sistema finan­zia­rio glo­bale. Così lo è anche Rosneft, la prima com­pa­gnia petro­li­fera mondiale.

A Washing­ton pen­sano di poter punire Putin, in caso insi­sta, in molti modi. L’Ucraina con­qui­stata diventa la nuova arma — ener­ge­tica — per legar­gli le mani. Quasi metà dell’esportazione russa va in Europa, e tre quarti di essa è fatta di gas e petro­lio. E tutto que­sto passa in gran parte dagli oleo­dotti ex sovie­tici che attra­ver­sano l’Ucraina. Una Ucraina «ame­ri­cana» signi­fica che quei rubi­netti diven­tano ame­ri­cani. Certo l’Europa ha biso­gno del gas russo, e in caso di chiu­sura di quei rubi­netti, dovrà sof­frire non poco. Ma la signora Nuland non ha forse detto «fuck Ue»? L’essenziale è che chiu­dere quei rubi­netti signi­fi­cherà inflig­gere alla Rus­sia una per­dita di 100 miliardi di dol­lari all’anno. Potrà Putin man­te­nere il livello di con­senso di cui gode ora, se dovesse chie­dere ai russi di strin­gere la cin­ghia e i con­sumi? E cosa faranno gli oli­gar­chi russi che hanno tra­sfe­rito nelle ban­che occi­den­tali qual­che tri­lione di dol­lari, che potreb­bero essere seque­strati dagli Stati Uniti, con­ge­lati a tempo inde­fi­nito per punire la Rus­sia riot­tosa? Può per­met­tersi tutto que­sto Putin? La rispo­sta di Tal­bott è «no».

Certo biso­gnerà pro­met­tere qual­che cosa in cam­bio agli euro­pei, che hanno tutto da per­dere. Per esem­pio il gas natu­rale nor­ve­gese. E il gas che Stati Uniti e Canada comin­ciano a pro­durre dagli sci­sti bitu­mi­nosi: gas a basso prezzo, anche se deva­stante per l’ecologia. Ma che importa? Obama è par­tito in quarta. C’è un nuovo Eldo­rado pochi metri sot­to­terra. Ser­virà per i pros­simi quin­dici anni, per dare agli Usa una minore dipen­denza dall’importazione ener­ge­tica esterna, e anche, nello stesso tempo, per inca­te­nare l’Europa agli Stati Uniti. Sfor­tu­na­ta­mente tutto que­sto gas dovrà essere prima liqui­di­fi­cato, all’origine, e poi nuo­va­mente riga­si­fi­cato, all’arrivo. Si annun­ciano inve­sti­menti colos­sali. Ma quanto tempo ci vorrà? Non meno di sei-sette anni. Nel frat­tempo aspet­tia­moci aumenti pesanti della bol­letta del gas. E un colpo a tutte le imprese mani­fat­tu­riere euro­pee, tede­sche incluse.

E la Rus­sia? Sarà spe­cu­lar­mente anch’essa in dif­fi­coltà. Mosca ha un altro mer­cato che aspetta il suo gas. Più grande di quello euro­peo. È la Cina. Ma ci vor­ranno sei o sette anni per­ché arrivi a desti­na­zione. Washing­ton è pas­sata all’offensiva senza andare per il sot­tile. Per la prima volta dalla seconda guerra mon­diale un governo euro­peo è a par­te­ci­pa­zione nazi­sta. Per­ché una tale acce­le­ra­zione? La rispo­sta non viene da Washing­ton: sui destini dell’Occidente gra­vano nuvole nere. Biso­gna vin­cere prima che arrivi la tem­pe­sta. Così pen­sano. Dopo di loro, il diluvio.


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