I 7 punti della pace russa: Assad non c’è

I 7 punti della pace russa: Assad non c’è

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Mosca ha fretta e potrebbe sca­ri­care Assad. Vuole chiu­dere la que­stione siriana il prima pos­si­bile, vista l’inattesa len­tezza della con­trof­fen­siva gover­na­tiva a nord-ovest. Una fretta rac­chiusa in sette punti, un piano di pace che dovrebbe essere al cen­tro del nuovo round di nego­ziati, il 13 novem­bre a Gine­vra. A ripor­tare la noti­zia erano ieri il sito arabo indi­pen­dente al-Bawaba e dal turco Ana­dolu, citando la Gazeta russa.

I 7 punti si fon­dano – dice l’ufficio stampa del governo russo – sulla for­mula “nes­sun vin­ci­tore, nes­sun per­dente”: ces­sate il fuoco e stop al rifor­ni­mento di armi alle oppo­si­zioni siriane; nego­ziati tra governo, Eser­cito Libero Siriano e oppo­si­zioni mode­rate che porti al rila­scio dei pri­gio­nieri e alle ele­zioni par­la­men­tari e pre­si­den­ziali; assi­mi­la­zione dei gruppi armati di oppo­si­zione e delle mili­zie sciite pro-governative nell’esercito di Dama­sco; garan­zia a non per­se­guire Assad e la sua fami­glia; man­te­ni­mento della pre­senza mili­tare russa die­tro riso­lu­zione Onu.

Ma soprat­tutto la Rus­sia assi­cu­re­rebbe che Assad non par­te­ci­perà per­so­nal­mente alle ele­zioni pre­si­den­ziali, nomi­nando al suo posto una figura di fidu­cia. Se il piano di pace in que­stione venisse con­fer­mato, sarebbe la dimo­stra­zione della “sacri­fi­ca­bi­lità” del pre­si­dente. Mosca ha invi­tato in Rus­sia la pros­sima set­ti­mana rap­pre­sen­tanti del governo e delle oppo­si­zioni mode­rate, che fareb­bero parte della lista di 38 per­so­na­lità con­se­gnata dal fronte anti-Assad al mini­stro Lavrov a Vienna (tra loro l’ex pre­si­dente della Coa­li­zione Nazio­nale Siriana Moaz al-Khatib e quello attuale, Kha­led Khoja).

A ten­ten­nare sono gli Stati Uniti secondo cui la par­te­ci­pa­zione delle oppo­si­zioni sarebbe pre­ma­tura. Washing­ton, che ha meno fretta, cerca di inde­bo­lire la posi­zione di una Rus­sia nelle vesti di paci­fi­ca­tore che met­tono in ombra lo sto­rico ruolo sta­tu­ni­tense. Que­sto spiega la dop­pia stra­te­gia Usa: da una parte coo­pera, dall’altra critica.

Ieri fun­zio­nari della sicu­rezza Usa hanno ripor­tato di un incre­mento della pre­senza mili­tare russa in Siria: 4mila uomini e non i 2mila sti­mati all’inizio dell’operazione aerea. Il giorno prima, però, le avia­zioni di Rus­sia e Stati Uniti hanno com­piuto eser­ci­ta­zioni con­giunte nei cieli siriani, per adde­strarsi a seguire le misure di sicu­rezza pre­vi­ste dal memo­ran­dum di intesa fir­mato due set­ti­mane fa da Casa Bianca e Crem­lino. Nelle stesse ore, i jet russi col­pi­vano 24 tar­get isla­mi­sti, sulla base di coor­di­nate for­nite da oppo­si­zioni pre­senti sul ter­reno, il primo caso di coor­di­na­mento diretto tra Mosca e forze anti-Assad.

Stra­te­gie che potreb­bero appa­rire schi­zo­fre­ni­che, ma che sono lo spec­chio degli obiet­tivi di Mosca. Non sal­vare Assad, ma i pro­pri inte­ressi: il pre­si­dente Putin vuole uno sbocco sul Medi­ter­ra­neo, garan­tirsi un posto nel busi­ness della rico­stru­zione, legare a sé la nuova Dama­sco (e di con­se­guenza Bagh­dad, e in parte Tehe­ran), un Medio Oriente fon­dato su equi­li­bri di potere gestiti non più solo dalla Casa Bianca.



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