Reportage dal Brasile malato e in bilico verso la rivolta

Reportage dal Brasile malato e in bilico verso la rivolta

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In Brasile il Covid si sta diffondendo in tutte le regioni del paese e ha raggiunto il 70,7% dei municipi, avanzando da 297 comuni il 28 marzo a 3.936 il 28 maggio. I morti ad oggi (02.06) sono 29.937 mila. Ma sui numeri tutti dicono che non corrispondono neppure alla metà dei reali. Nel frattempo, il Ministero della Salute rimane nelle mani di un generale come capo ad interim e la Segreteria per la Sorveglianza della Salute, responsabile della elaborazione della strategia della lotta alla pandemia, si ritrova senza nomina dopo che il segretario, Wanderson Oliveira, come l’ultimo ministro della salute, Nelson Teich, si è dimesso.

I sindaci dei più grandi centri urbani, Rio de Janeiro (Crivella) e San Paolo (Doria), stanno abbandonando le misure di isolamento (lockdown comunque lieve) dalla prossima settimana, mentre negli ospedali ormai allo stremo delle capacità, per direttiva federale, si impone l’uso della clorochina.

Dei 4,7 milioni di test ricevuti dal governo federale il numero dei test che sono stati analizzati finora è di 488.802 a cui si sommano quelli effettuati in laboratori privati ​​di analisi cliniche, totalizzando un numero di 930.013 test covid-19 eseguiti. Nonostante sia il secondo paese al mondo con i casi più confermati di covid-19, dopo solo gli Stati Uniti, il Brasile segue diversi paesi in termini di test eseguiti. Secondo i dati della Johns Hopkins University al 31 di maggio sono stati confermati 1.124 decessi mantenendo per 4 giorni consecutivi un numero di morti superiori a mille. Il numero totale di obiti è di 29.937 obiti diventando il quinto paese con più vittime della malattia in tutto il mondo, superando la Spagna (totale 27.121 decessi) e la Francia (28.717) e rimanendo di poco dietro all’Italia (33.229), Regno Unito (38.243) e Stati Uniti (102.516).

Ma il Brasile sta attraversando la crisi sanitaria insieme ad una crisi politica marcata per un violento autoritarismo. Le minacce a una possibile virata militare contro le istituzioni democratiche è quotidiana. A Brasilia, un gruppo di sostenitori nazifascisti ha allestito un accampamento chiamato ‘300 Pelo Brasil’. Il movimento incoraggia la venerazione del presidente Bolsonaro, e istiga alla disobbedienza civile – che assume nel paese una peculiare duplice istanza, contro e a favore del Governo – contro le principali istituzioni democratiche. Prime fra esse il Supremo Tribunale Federale istanza che, alla luce delle vicende politiche degli ultimi anni (impeachment della ex presidente Rousseff e incarceramento dell’ex presidente Lula) difficilmente può essere considerato completamente democratico ma che vista l’attuale situazione in Brasile rientra nel gruppo dei “redenti”.

Insieme a Doria (sindaco di Sao Paulo), Witzel (governatore di Rio), Mandetta (ex ministro della salute) e via dicendo. Il nome 300 pelo Brasil fa riferimento a un film che i movimenti europei di estrema destra usano come simbolo della loro lotta contro immigrati e rifugiati. Il motto dei seguaci è “Ucrainiaziamo il Brasile”, ripetuto anche dai politici di Bolsonaro per manifestare la propria sintonia con i gruppi neonazisti armati che si sono formate nelle sanguinose proteste in Ucraina nel 2014, culminate con il rovesciamento del presidente. Il leader del gruppo è Sara Winter, nome in codice che onora una spia nazista britannica. Ex femminista del movimento Femen era, fino a poco tempo fa, la segretaria di Damares presso il Ministero dei diritti umani dove è diventata una cattolica ultra-reazionaria ossessionata dalla lotta contro l’aborto.

La leader del movimento è stata denunciata dal Ministero pubblico federale per aver minacciato di morte il ministro Alexandre de Moraes. La notte del 30 di maggio il gruppo, guidato dalla stessa, ha marciato verso la Tribunale Federale Supremo con torce in mano e uno stendardo con il numero 300. L’estetica della protesta fa chiaro riferimento ai cavalieri di Ku Klux Klan e alla marcia dei neonazisti avvenuta a Charlottesville nell’agosto del 2017. Lo stesso Eduardo Bolsonaro (PSL-SP), figlio di Jair Bolsonaro (senza partito), non ha risparmiato attacchi contro il Tribunale Federale supremo (STF) dopo l’emissione di mandati giudiziali nel contesto dell’indagine che indaga su un’industria di fake news legata ai sostenitori del Presidente. I figli del presidente sono tra i principali indagati grazie anche alla proattiva complicità di Steve Bannon.

Arrivando ad affermare che “”Quando arriverà al punto in cui il presidente non avrà via d’uscita sarà necessaria una misura forte, a quel punto si verrà indicato come dittatore”. Non pare comunque che il deputato mostri la benché minima preoccupazione con quello che il termine dittatore sottintende. Nell’ottobre dello scorso anno aveva già suggerito “se la sinistra si radicalizzerà” – la creazione di un “nuovo AI-5”.

L’atto istituzionale numero cinque (AI-5) è stato il più duro di tutti gli atti istituzionali emessi dalla dittatura militare dopo il colpo di stato del 1964. Ha decretato la perdita dei mandati dei parlamentari contro i militari, interventi ordinati dal presidente nei comuni e nelle regioni, e la sospensione di qualsiasi garanzia costituzionale, che portò all’istituzionalizzazione della tortura come strumento usato dallo stato nella repressione alla opposizione.

In uno dei suoi lives settimanali, Bolsonaro è apparso bevendo un bicchiere di latte, un gesto che, secondo la antropologa Adriana Dias, imita il razzismo dell’estrema destra americana che attribuisce al latte un simbolo di superioritá razziale e genetica della razza bianca. Secondo Intercept Brasil associare il bolsonarismo al neo-nazismo non è una forzatura, tutt’altro. È necessario tornare al video della riunione ministeriale del governo Bolsonaro del giorno 22 di aprile per poter avere un palinsesto dello scenario della situazione politica attuale brasiliana.

La registrazione è stata resa pubblica il 22 di maggio, dopo che l’ex ministro Sergio Moro l’ha allegata a processo come prova della interferenza di Jair Bolsonaro sull’operato della polizia federale. Originariamente aveva come finalità quella di presentare il – cosí definito dal generale Braga Netto- Piano Marshall brasiliano”. Al ministro della Economia, Paulo Guedes, tale nome non piace e continua a richiamare all’uso del nome “Pró-Brasil” allertando sul rischio che avrebbe, in relazione alle imprese, se la stampa cominciasse a chiamarlo di Marshall Brasileiro.

Ad ogni ministro viene chiesto di presentare le linee direttrici su cui il proprio ministero si muoverà nella implementazione del Pró Brasil. È a quel punto che la riunione mostra come, al di là dei video scioccanti che un esercito di sostenitori invasati sta riversando nella rete al fine di innalzare lo spirito psicopatico dei pro e abbattere la speranza dei contro, esiste un piano distruttivo portato avanti da alcune figure chiave del governo. Nei diversi interventi sfila davanti al popolo brasiliano l’esplicitazione verbale della distruzione a cui sta andando in contro.

Non stupisce la reazione rabbiosa esplosa il giorno dopo sulle reti sociali. A differenza del precedente discorso di Bolsonaro, quando aveva annunciato il licenziamento di Moro, non c’è più stato spazio per memes divertenti. È chiaro che il popolo brasiliano sta smettendo di ridere ogni giorno di più. Ricardo Salles, ministro dell’Ambiente, si è riferito alla emergenza sanitaria come una opportunità per “passar boiada” (fare tabula rasa).

“L’opportunità che abbiamo è quella di approvare le riforme infra legali di deregolamentazione mentre siamo in questo momento di tranquillità in termini di copertura della stampa che parla solo di Covid. Dobbiamo approfittare per cambiare tutte le regole e semplificare tutti i procedimenti, dall’ Iphan (organo federale di tutela del patrimonio storico), al Ministero dell’Agricoltura, Ministero dell’Ambiente, dal Ministero di tutto. Ora è il momento di unire le forze per semplificare la regolamentazione di cui abbiamo bisogno, in tutti gli aspetti economici”.

Questa deregolamentazione interessa l’esportazione di legname senza fiscalizzazione, l’alterazione dei procedimenti di indennità di aree bonificate, la legalizzazione delle aree disboscate fino a luglio del 2008, la liberalizzazione da parte della Funai della vendita di terre indigene, il licenziamento di professionisti che combattono l’estrazione illegale. Il 25 maggio la Folha de São Paulo ha pubblicato una intera pagina di propaganda anti Salles a cui non tarda ad arrivare la risposta da parte del fronte parlamentare che agisce in difesa degli interessi dei proprietari terrieri rurali.

Il ministro della Pubblica Istruzione – MEC, Abraham Weintraub, invece non fa mistero del pensiero eugenista che accompagna il suo mandato: “Odio il termine “popoli indigeni”, odio quel termine. Odio il “popolo gitano“. Esiste un solo popolo in questo paese. Se ti va bene, bene. Se non ti va bene, vattene. È il popolo brasiliano, un unico popolo. Può essere nero, bianco, giapponese, discendente di indios, ma deve essere brasiliano! Dobbiamo porre fine a questa storia di popoli originari e di privilegi”.

Pensiero in sintonia con il piano di Bolsonare che a febbraio ha trasferito il Consiglio nazionale per l’Amazzonia legale dal Ministero dell’Ambiente alla Vice Presidenza della Repubblica dichiarando che il Brasile aveva ormai stabilito una “industria delle terre demarcate indigene”. “È molta terra per pochi indios” e che le attuali riserve sono ‘offensive’ per gli stessi indios che invece devono essere trattati come tutti. Bolsonaro, giá allora, aveva detto chiaramente che è nell’interesse del suo governo preservare l’Amazzonia, ma “non che i suoi beni rimangano nascosti lì per sempre”. Una settimana dopo tale dichiarazione, il deputato Jeferson Alves (PTB) aveva tagliato con una motosega la catena che proteggeva la Terra indigena Waimiri-Atroari (TI), occupata dal popolo Kinja.

Il discorso della ministra Damares, del ministero Donne, Famiglia e Diritti Umani, invece appella ossessivamente a valori ultra conservatori. La ministra, già in un video surreale apparso recentemente in cui presentava un concorso infantile, appare incorporare sempre più la sua missione di controllo morale. Prendendo di mira l’aborto (illegale in Brasile) ricorda come sia necessario cambiare varie politiche pubbliche e preoccupata dalla possibilità che il Tribunale Federale Supremo permetta a donne infette dal coronavirus di abortire “Voglio ricordare al ministro che sta arrivando ora – facendo allusione al ministro della salute – che questo governo è un governo Pro-vita, un governo Pro-famiglia”.

Inoltre la ministra fa esplicite minacce ai provvedimenti presi da alcuni governatori e sindaci che avevano impedito i culti per ragioni di sicurezza sanitaria, “la pandemia passerà, ma i governatori e i sindaci risponderanno legalmente e chiederemo persino il loro arresto. Stiamo aumentando il tono e i risultati stanno arrivando. Il nostro ministero inizierà a perseguitare pesantemente governatori e sindaci”. Il governo Pro famiglia e a difesa dei valori della morale della ministra Dalmares trova però un inceppo nel discorso del ministro del Turismo Marcelo Álvaro Antônio che sottolinea la necessità, in vista della ripresa economica, di tornare ad esplorare il ricco settore economico dei resort integrados, ossia complessi di hotel di lusso che comprendono casinò, strutture per convegni, spettacoli di intrattenimento, e spesso prostituzione.

Il ministro sottolinea come “è molto denaro! quaranta miliardi di dollari!”. Non sorprende, l’Italia ha una lunga storia legata al turismo sessuale brasiliano. Basta entrare in un qualsiasi consolato brasiliano in Italia per rendersene conto. La morale si ferma come dimostra il commento della ministra della famiglia alla proposta del ministro del turismo: “un patto con il diavolo”. Che l’attuale governo pur dichiarandosi estremamente filo nazionalista sia in realtà contro il proprio popolo non viene che confermata dal discorso del ministro dell’Economia Paulo Guedes che, in piena coerenza con la politica di austerità fiscale da lui proposta in piena emergenza sanitaria a cui il Consiglio Nazionale della Salute aveva risposto a fine aprile, dichiara che “Il discorso del porre fine alle disuguaglianze regionali. È bello … bellissimo, ma questo è ciò che Lula, Dilma fanno da trent’anni.

È tornare ad una agenda di trenta anni fa” sottolineando inoltre che – in una visione di lungo periodo che include le prossime elezioni presidenziali – non sarà questa la politica che manterrà l’appoggio del settore delle imprese. Perché interessarsi a politiche riparatorie in un paese che registra tra i maggiori indici di diseguaglianza socio economica? Appare quindi chiaro come i ministri agiscano come una corte feudale al servizio del signore.

Cosa anche confermata da un dettaglio che è passato quasi inosservato ma che comunque merita attenzione. Sullo schermo di un computer posto al centro del tavolo, in cui si susseguivano gli interventi dei ministri, rimane fissa una tela in cui si può leggere: “Problema attuale – Crisi Covid19” e le sue “Conseguenze negative: salute (decessi) / socioeconomica (disoccupazione)” a cui, sempre secondo il PP, seguono in basso le indicazioni di “Focus attuale: Trovare chi è incolpato”, “Focus necessario: Come il governo deve reagire”. La risposta quindi che i ministri dovrebbero trovare al “Problema attuale – Crisi Covid19” non è quello di organizzare una strategia sanitaria capace di controllare gli effetti della pandemia ma trovare un colpevole e, così facendo, scagionare la figura del presidente.

Appare chiaro quindi che l’equilibrio su cui si regge il governo Bolsonaro sta tra le funzioni servili dei suoi vassalli e la loro capacità di rispondere agli interessi della oligarchia economica brasiliana, in primis il fronte parlamentare in difesa degli interessi dei proprietari terrieri rurali ( bancada ruralista ) alla base della campagna del Ministro dell’Ambiente Ricardo Salles. Una situazione questa che non fa altro che peggiorare (o migliorare, dipende dall’angolo da cui si osserva) l’organizzazione economico sociale di un paese che non è mai passato per una reale riforma agraria permettendo quindi che la concentrazione delle terre rimanga nelle mani di una netta minoranza di famiglie. Si tratta della esplicita continuità di antichi processi storici che – a partire dalla colonizzazione e dalla schiavitù (il Brasile è l’ultimo paese al mondo ad averla abolita nel 1888) – hanno costruito una delle più diseguali società al mondo.

A rendere ancora più esplicito che Ricardo Salles non rappresenta solo Ricardo Salles, in risposta alla Folha de São Paulo, più di ottanta imprese hanno pubblicato un manifesto titolato “Nell’ambiente, anche la burocrazia è devastante” dando “pieno supporto” alle politiche del Ministero dell’Ambiente. Osservando la lista delle imprese, si tratta fondamentalmente delle organizzazioni – a loro volta finanziate da grandi aziende e banche, sia nazionali che multinazionali – che mantengono la bancada ruralista, garante del governo Bolsonaro.

Secondo un sondaggio Datafolha apparso sulla Folha de São Paulo il 29 di maggio, gli imprenditori sono l’unico gruppo della popolazione economicamente attiva in cui Jair Bolsonaro ha l’approvazione della maggioranza. Mentre il 56% di loro ritiene che il presidente stia facendo un governo eccellente o buono, tra i lavoratori stipendiati questo rating scende al 32%, e tra quelli senza libretto di lavoro al 43%. La percentuale è minore nei gruppi di dipendenti pubblici (28%) e in quelli che cercano lavoro (26%).

E’ evidente quindi che le persone stanno cominciando ad aprire gli occhi, anche quelli che, pur di essere contro il Partito dei Lavoratori PT, avevano votato per Bolsonaro ad Ottobre del 2018. L’attuale supporto al presidente (senza partito) è del 30% riuscendo addirittura a superare Dilma Rousseff che, al momento del suo impeachment, ad agosto 2016, manteneva una approvazione del 40%. Diverse le iniziative che stanno sorgendo in opposizione al governo che prendono ispirazione dal movimento “Diretas Já” un movimento civile che tra il 1983 e 1984 ha richiesto le elezioni presidenziali dirette in Brasile contribuendo a rovesciare il regime militare nel 1985.

Tra queste il movimento #Juntos che nato da un gruppo di artisti, politici, intellettuali, scienziati, organizzazioni, aziende e persone di diversi settori, che si sono riuniti in “difesa della vita, della libertà e della democrazia” ed hanno pubblicato un manifesto, a sottoscrizione aperta. L’azione è iniziata dopo che un gruppo di autori e attrici di Rio de Janeiro, guidati dalla sceneggiatrice Carolina Kotscho, si sono riuniti per emettere una nota di ripudio alla intervista data alla CNN Brasil dalla allora segretaria nazionale di cultura Regina Duarte.

Nell’intervista la segretaria che minimizzava i casi di torture e morti causate dalla dittatura militare nel paese. La segretaria si è dimessa pochi giorni dopo in seguito a una forte reazione pubblica, specialmente da parte del settore della cultura. A seguito del lancio di “#Juntos” un gruppo di professionisti dell’area del diritto ha lanciato ilmanifesto “Basta”. “Noi professionisti del diritto, delle più diverse fronti politiche e ideologiche, quelli che vivono la primavera della loro carriera, e quelli che raggiungono l’autunno della loro vita professionale, tutti abbiamo in comune la convinzione che vivere sotto l’egida della legge è una conquista di civiltà.

Siamo tutti fermamente convinti che la legge abbia senso solo quando promuove la giustizia. Crediamo tutti che sia necessario dire BASTA a questa notte di terrore con la quale si intende coprire questo paese”. Un’altra iniziativa che ha occupato i social network è il movimento “Somos 70%”, iniziato dall’economista Eduardo Moreira che, approfittando dei risultati del sondaggio dell’Istituto Datafolha ha voluto evidenziare che i sostenitori di Jair Bolsonaro sono in minoranza. Tutte le iniziative hanno in comune la preoccupazione in relazione alle minacce alla democrazia nel paese e l’adesione di nomi di diverse frangi politiche e ideologiche, un’unione insolita nel mezzo dell’instabilità politica e della polarizzazione del Brasile negli ultimi anni.

Intanto domenica 31 di maggio le reazioni esplodono anche per le strade delle principali città del paese. I tifosi di diverse squadre di calcio sono scesi in piazza in diverse città brasiliane in difesa della democrazia. A San Paolo, i tifosi palmeirenses, são-paulinos e santistas si sono uniti ai membri di Gaviões da Fiel. A Rio de Janeiro, la manifestazione con la stessa agenda è stata guidata da un gruppo dei tifosi del Flamengo. E a Belo Horizonte, gruppi di tifosi antifascisti dell’Atlético, Cruzeiro e Américaoccupavano le strade.

Mentre a Brasilia, il presidente – dopo aver sorvolato il sito in elicotteri governativi – è sceso a terra per unirsi ai suoi 300 deliranti seguaci salutandoli con strette di mano – senza mascherina – per concludere a cavallo nel mezzo della cavalleria armata della PM ed inneggiato dai manifestanti.

Vera Magalhães

@veramagalhaes

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* Fonte: Laura Burocco,  il manifesto

 



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