Brasile. Con Bolsonaro «genocidio programmato» degli indigeni

Brasile. Con Bolsonaro «genocidio programmato» degli indigeni

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Si contano 795 indigeni assassinati in Brasile nei quattro anni di governo dell’ex presidente

 

«Quello del governo Bolsonaro era un genocidio programmato», ha affermato il relatore Roberto Antonio Liebgott nel presentare a Brasilia a fine luglio l’ultimo rapporto del Consiglio indigeno missionario (Cimi), in cui si documenta lo scenario di violenze nei confronti delle popolazioni indigene del Brasile tra il 2019 e il 2022.

Il rapporto è stato stilato sulla base di dati raccolti utilizzando fonti pubbliche come la Segreteria speciale di salute indigena (Sesai) e il Sistema di informazioni sulla mortalità (Sim) e mostra il drammatico aumento della violenza nei confronti delle comunità indigene sotto la presidenza Bolsonaro.

Le violazioni hanno raggiunto livelli record e si sono manifestate sotto forma di invasioni di territori, violenze contro le persone, assassini, omissioni del potere pubblico nel campo dell’assistenza e della protezione. Una lunga serie di abusi che hanno avuto come conseguenza non solo un aumento degli omicidi, ma anche un forte incremento della mortalità infantile e dei suicidi tra la popolazione indigena.

SI CONTANO 795 INDIGENI assassinati in Brasile nei quattro anni di governo Bolsonaro e in questa tragica contabilità troviamo al primo posto lo stato di Roraima con 208 morti, seguito da Amazonas con 163 e dal Mato Grosso do Sul con 146. Nei tre stati in cui sono più diffuse le attività di tipo predatorio si è registrato il 65% dei morti totali. In queste aree gli indigeni, abbandonati a sé stessi, hanno pagato il prezzo più elevato per difendersi dalle invasioni che lo stesso Bolsonaro ha incentivato smantellando organismi di controllo come l’Ibama e la Funai.

Le condizioni di vita delle popolazioni indigene e le attività illegali che si svolgono nei territori erano state oggetto di attenzione internazionale dopo l’assassinio nel giugno 2022 dell’indigenista Bruno Pereira e del giornalista inglese Dom Phillips nella Terra indigena Vale do Javari, nello stato di Amazonas. Così come erano emerse le omissioni del governo Bolsonaro di fronte alla crisi sanitaria e ambientale che ha interessato in Roraima la popolazione Yanomami, colpita da malattie e malnutrizione a causa dell’invasione di 30 mila garimpeiros che, per estrarre l’oro, hanno contaminato col mercurio i fiumi della regione.

Il rapporto del Cimi mette in evidenza un altro aspetto: i tre stati che contano il maggior numero di assassini sono anche quelli in cui si registra il più alto numero di suicidi. Sono 535 gli indigeni che si sono suicidati in Brasile nel periodo 2019-2022 e il 74% di essi viveva nei tre stati. Il dato appare ancora più drammatico se si considera che più di un terzo dei suicidi ha interessato giovani al di sotto dei 19 anni di età. Giovani che scelgono di morire non riuscendo a vedere prospettive di vita dignitosa.

LA VIOLENZA che le comunità subiscono, le invasioni, i continui attacchi, la perdita di terre e la vita ai margini degli agglomerati urbani sono tutti fattori che producono condizioni di fragilità. Ed è tra la popolazione Guarani, perseguitata e privata della sua terra e che vive dispersa nel Mato Grosso do Sul al confine col Paraguay, che si registra il più alto numero di suicidi anche tra gli adolescenti. Anche la mortalità infantile si è impennata sotto Bolsonaro. Secondo la Segreteria della salute indigena, nel quadriennio si è registrato un totale di 3552 morti tra i bambini indigeni con età tra zero e quattro anni, con un incremento del 35% rispetto al periodo precedente. La riduzione delle politiche pubbliche di assistenza alle popolazioni si è scaricata soprattutto sui bambini.

Proteggere la foresta e le popolazioni non rientrava tra gli obiettivi di Bolsonaro che ha sempre considerato gli indigeni “corpi estranei” da rimuovere. Sotto la sua presidenza non è stata attuata alcuna demarcazione anche se la Costituzione lo prevede. Sono 1391 le terre che dovrebbero essere assegnate, ma secondo il Cimi per il 62% di esse non è stato avviato alcun processo di regolarizzazione. Nel rapporto viene ribadito con forza che l’attuale scenario di violenze può mutare solamente se le terre vengono demarcate e restituite agli indigeni.

UNA DELLE PRIME MISURE del presidente Lula è stata quella di delimitare sette territori da assegnare alle comunità indigene, ma le resistenze anche all’interno del suo governo sono forti. Il Supremo tribunale federale deve ancora pronunciarsi sul marco temporal, una norma che punta a limitare le assegnazioni, mentre nel Congresso stanno prevalendo le forze ostili alla demarcazione.

* Fonte/autore: Francesco Bilotta, il manifesto



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