Gaza. Israele continua il massacro, palestinesi senza più via di fuga
Centinaia di morti palestinesi da quanto è saltata la tregua, secondo fonti governative nella Striscia
GERUSALEMME. A Said Majdalawi piace descriversi come «compagno». «Sono uno di sinistra, tutta la mia famiglia è sinistra, lo siamo da sempre» amava ripeterci quando l’abbiamo incontrato, aggiungendo che in Italia legge sempre il manifesto. Originario di Jabaliya, nel nord di Gaza, ma residente in Italia da qualche anno, Said era in Europa il 7 ottobre. Si è subito spostato al Cairo nella speranza di raggiungere in tempo il valico di Rafah. Niente da fare. Da allora prova senza successo ad entrare a Gaza. «Vorrei far uscire da Gaza mia moglie e i miei figli ma l’Italia aiuta solo coloro che hanno la cittadinanza italiana e non quelli con la residenza», ci spiegava ieri al telefono dall’Egitto. «Sono spaventato – ha aggiunto con un filo di voce -, la mia famiglia è sfollata al sud e Israele ora bombarda a tappetto anche lì. Non so cosa fare, l’ansia mi sta consumando».
Said Majdalawi ha ragione a temere per i suoi congiunti. L’offensiva aerea di Israele che ha ridotto in macerie ampie porzioni del nord della Striscia e il capoluogo Gaza city, da quando, venerdì, è saltata la tregua con Hamas, si concentra sul sud. Quella che doveva essere l’area sicura per gli sfollati. «Non c’è posto protetto, colpiscono ovunque» ripetevano ieri i civili palestinesi nei video girati con i telefoni o nei servizi realizzati da Al Jazeera e altri media. Una pioggia di bombe si è abbattuta in particolare su Khan Yunis ma non ha risparmiato località del nord come Jabaliya, Beit Lahiya e Shujayeh, sobborgo orientale di Gaza city già raso al suolo nel 2014 durante l’operazione «Margine Protettivo». Aerei e artiglieria di Israele hanno colpito case, moschee, edifici pubblici. Per le autorità israeliane erano obiettivi di Hamas. Le immagini che giungevano ieri da Gaza però mostrano zone residenziali colpite a ripetizione e civili che urlavano in preda al panico o che accorrevano in soccorso dei feriti. Nei filmati i bambini portati all’ospedale appaiono ricoperti di sangue e dalla polvere del cemento reso di nuovo polvere dalla potenza distruttiva delle bombe. Impressionanti le scene al centro residenziale Hamad: palazzi costruiti di recente in un’area aperta e pulita, con belle strade dove vivono centinaia di famiglia. Le esplosioni, terrificanti, sono avvenute in serie sugli edifici più esposti. In un video una donna giace a terra in una pozza di sangue, probabilmente raggiunta da una scheggia. Colonne di fumo e polvere si sono alzate da tre moschee centrate in pieno. Sei attacchi aerei si sono concentrati in aree vicine all’ospedale Nasser, pieno di migliaia di sfollati e centinaia di feriti, molti dei quali erano stati evacuati dagli ospedali del nord. Anche Rafah è stata colpita duramente. Il ministero della sanità di Gaza ha riferito nel primo pomeriggio di almeno 200 palestinesi morti da venerdì mattina, in maggioranza donne e bambini. Poche ore dopo sono giunte notizie di un «massacro» a Shujaiyeh dove sono stati colpiti 50 palazzi. «300 i morti», secondo fonti governative a Gaza. Tra i morti di ieri c’è anche il presidente dell’Università islamica, Sufian Tayeh ucciso da un bombardamento nel campo profughi di Jabaliya insieme alla sua famiglia. Tayeh, che dirigeva la più grande università di Gaza, era stato nominato presidente dell’Unesco per le scienze fisiche e astrofisiche in Palestina.
Deir al Balah, sul mare, è stata presa di mira dalla Marina militare: nove morti. Anche in questo caso, dice Israele, sono state distrutte infrastrutture e basi di Hamas che, invece, dopo 57 giorni di una guerra distruttiva, continua a combattere in apparenza non indebolito dagli attacchi israeliani e continua a lanciare razzi, anche ieri. La sua ala militare, le Brigate Ezzedin al Qassam, ha diffuso ieri un nuovo filmato con blitz dei suoi uomini contro soldati e mezzi israeliani. Non si si quando e dove quelle immagini siano state riprese ma si vedono militari israeliani, una ruspa dell’esercito e blindati centrati in pieno da razzi anticarro.
Gli sfollati di Gaza si sono rifugiati a Khan Younis e Rafah a causa dei combattimenti nel nord. Ora, come i residenti, temono di dover scappare di nuovo. «È stata una delle notti peggiori che abbiamo trascorso da quando siamo arrivati qui. Abbiamo paura che entrino anche a Khan Younis. Questa è la stessa tattica che (gli israeliani) usavano prima di entrare a Gaza e nel nord», ha spiegato Yamen, un giovane ad un’agenzia di stampa. «Dove andrò dopo Khan Younis? Non so dove porterei mia moglie e i miei sei figli». In volantini lanciati nelle aree orientali di Gaza e diretto ai residenti di quattro città, si ordina di evacuare non più nei quartieri occidentali di Khan Younis come in passato, ma più a sud, a Rafah. A migliaia sono scesi in strada con le loro cose ammucchiate sui carri, cercando riparo più a ovest. Poi si sono resi conto che ormai non c’è più scampo, ogni posto è rischioso, tranne l’area dei Mawasi, un rettangolo di terra agricola vicino alla costa dove già da ottobre Israele cerca di spingere i civili di Gaza. Ma è così piccolo che non potrà mai contenere due milioni di palestinesi. Ieri i comandi israeliani hanno usato per la prima volta la mappa in cui Gaza è suddivisa in centinaia di quadrati con numeri. Ai civili sarà indicato dove spostarsi durante le operazioni militari. Per i palestinesi, nelle condizioni attuali del territorio, è impraticabile. Amjad Abu Taha, un insegnante di Gaza City, dice che Israele sta cercando di ingannare il mondo suggerendo ai residenti di Gaza l’opportunità di cercare sicurezza, ma, aggiunge, «Tutti sanno che nessun posto è sicuro a Gaza».
Intanto Human Rights Watch denuncia che il 9 novembre attacchi aerei hanno colpito il centro medico Al-Nasr a Gaza City, interrompendo la fornitura di ossigeno all’unità di terapia intensiva neonatale. Il personale medico è stato costretto ad evacuare lasciando i bambini che non potevano essere trasportati da soli in terapia intensiva. Il 28 novembre, durante il cessate il fuoco, i medici sono riusciti a tornare e hanno trovato cinque bambini morti.
Migliaia di persone riempivano ieri sera la cosiddetta piazza degli ostaggi a Tel Aviv. Però lo scambio tra ostaggi e prigionieri palestinesi andato avanti per una settimana è concluso. Ora è guerra, dura, anzi peggio, di prima. Reagendo alla ripresa a pieno regime dell’offensiva contro Gaza, Saleh Aruri, uno dei leader di Hamas, ieri ha detto ad Al Jazeera che la sua organizzazione non accetterà il rilascio di altri israeliani senza un cessate il fuoco definitivo e il rilascio di tutti i prigionieri politici palestinesi (7.700). Israele accusa Hamas di aver rotto l’accordo e di non voler più rilasciare 15 donne e due bambini che ha ancora nelle sue mani a Gaza. Per questo ha ritirato la delegazione del Mossad che era in Qatar per le trattative. Hamas sostiene che nella maggior parte dei casi sono militari o ex militari la cui liberazione potrà avvenire solo sulla base di nuove condizioni. In una conferenza stampa, ieri sera, il premier israeliano Netanyahu ha ribadito che la guerra continuerà, anche con una offensiva di terra, finché Hamas non sarà raggiunto e che sarà fatto di tutto liberare gli ostaggi. Non ha spiegato le ragioni che hanno spinto il ministro della difesa Gallant a rifiutare una conferenza stampa congiunta con lui.
* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto
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