La drug policy che funziona
Nel 2011 il rapporto della Global Commission on Drug Policy, denunciando i fallimenti della War on Drugs, analizzando i disastri di questa guerra, fece tremare i palazzi proibizionisti nazionali e planetari. Questo, sia per i suoi contenuti, sia per le firme di molti pezzi grossi dell’establishment internazionale, a partire dall’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan, assistiti da una scelta schiera di esperti.
Dopo il rapporto del 201, la Commissione ha seguitato a lavorare su specifici problemi, per esempio i costi dell’applicazione della legge penale e la riduzione del danno (vedi il rapporto fra droghe, Hiv/Aids ed epatite C). Finché il 9 settembre scorso è stato pubblicato il nuovo rapporto Taking Control: Pathways to Drug Politics that Work — “Prendere il controllo: percorsi verso politiche delle droghe che funzionino”.
Qui solo qualche rapido cenno ai contenuti del rapporto, a partire dalle raccomandazioni finali:
spostare il più possibile risorse dalle azioni repressive e punitive agli interventi sanitari e sociali di provata efficacia;
porre fine sia alla criminalizzazione dell’uso e del possesso di droghe per uso personale (l’italica depenalizzazione di uso e possesso è il più delle volte una tragica frode, almeno dalla Jervolino-Vassalli in poi e ancor più negli anni della Fini-Giovanardi), sia ai trattamenti obbligatori (quasi una allusione a certe nostre comunità terapeutiche);
cogliere l’opportunità della prossima assemblea generale Onu sulle droghe (Ungass) del 2016 per cambiare le convenzioni internazionali, sinora ricalcate sul modello proibizionista varato a Vienna nel 1961;
puntare sulle alternative al carcere per i “pesci piccoli” del narcotraffico (piccoli produttori, corrieri al dettaglio, piccoli spacciatori);
permettere e incoraggiare i diversi esperimenti di legalizzazione controllata, a partire da (ma non fermandosi a) cannabis, foglie di coca e parte delle nuove sostanze psicoattive;
puntare a una riduzione del potere delle organizzazioni criminali per ridurre la violenza e l’insicurezza alimentate dalle competizioni tra di loro e con lo Stato;
assicurare l’equo accesso ai farmaci essenziali, in particolare gli oppiacei per il dolore (per inciso, l’ultima relazione ad hoc al Parlamento del nostro Ministero della salute mostra qualche progresso, ma anche quanto siamo ancora lontani dagli standard di altri paesi soprattutto del centro e nord-Europa e del nord-America).
Poco spazio resta per le parti analitiche del rapporto. Il fallimento delle strategie di controllo è documentato dagli aumenti di produzioni e consumi di droghe pesanti; il danno alla salute pubblica e alla sicurezza dalla frequenza delle adulterazioni e delle morti da overdose, dalle restrizioni alle strategie di riduzione del danno (solo in Russia 1.800.000 iniettori sono infetti da virus Hiv); l’attacco ai diritti umani dagli oltre mille giustiziati all’anno per reati di droghe, dagli innumerevoli carcerati e reclusi in “centri speciali”, dalle gravi discriminazioni a danno delle minoranze etniche e razziali; l’incentivazione della criminalità e dell’arricchimento dei criminali dai quasi quattrocento miliardi di dollari annui di vendite al dettaglio, dall’escalation della violenza e del finanziamento del terrorismo; giù giù, sino ai dati sul dilagare della corruzione, sull’inquinamento dell’economia legale, e chi più ha più ne metta.
Insomma, conclude la Commissione, vi supplichiamo, potenti della terra, facciamola finita; e per fortuna, aggiunge, qualcuno qua e là ha iniziato a capire l’antifona.
Rapporto e sommario italiano su www?.fuo?ri?luogo?.it
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