Interrogati sul Corano e trucidati

Interrogati sul Corano e trucidati

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Non era ancora spuntata l’alba, il loro viaggio, poco più di mille chilometri in pullman, dall’Estremo nord a Nairobi, era appena cominciato: è stato fermato a colpi di kalashnikov da un gruppo di uomini con il volto coperto che «in nome di Allah» ha compiuto una carneficina. Tra le vittime insegnanti, agenti di polizia, operatori sanitari che tornavano nelle loro case dopo una settimana di lavoro. Il macabro «rituale» è lo stesso adottato in altre stragi firmate dagli shebab, i miliziani islamici somali affiliati ad Al Qaeda: anche qui gli ostaggi — una sessantina di passeggeri — sono stati divisi tra musulmani e «infedeli» con tanto di test sui versetti del Corano. I «promossi» risparmiati, gli altri «finiti» a bruciapelo con un colpo alla testa. Le foto dei loro corpi esanimi e hanno fatto inorridire il mondo.
«Sei uomini hanno preso il controllo del pullman portandolo su una strada secondaria verso il confine somalo. Parlavano in swahili, inglese e somalo — ha raccontato un sopravvissuto al Daily Nation , il principale quotidiano keniota e dell’Africa orientale —. Arrivati in un’area fangosa sono spuntati dal nulla altri miliziani. Ci hanno intimato di scendere». Poi è partito l’interrogatorio: «Ci hanno chiesto quante volte preghiamo al giorno e di recitare versi del Corano. Chi sbagliava veniva costretto a sdraiarsi nel fango a faccia in giù». Poi a una trentina di loro è stato chiesto di tornare sul bus. Forse volevano portarli come prigionieri in Somalia: secondo una testimonianza raccolta dalla Bbc , i miliziani avrebbero cambiato programma soltanto perché stoppati dal fango. A quel punto li hanno uccisi subito: 28 sono stati colpiti a bruciapelo alla testa. Tre di loro sono riusciti a salvarsi recitando versetti del Corano.
L’attacco contro i cristiani è stato rivendicato dagli shebab come risposta ai raid condotti nei giorni scorsi dalla polizia in quattro moschee di Mombasa. Nei blitz 251 islamici sono stati arrestati, uno è morto.
Cresce il timore che il Kenya diventi una nuova Nigeria. L’area della strage in Kenya, Mandera, è una zona arida, scarsamente popolata, con poche scuole e ospedali, dove la gente si sente ai margini, trascurata dal governo nazionale, ricca soltanto di armi, per la sua vicinanza con la Somalia. Gli shebab hanno una base proprio lì vicino, a Gadondhawe. Fattori che rendono la regione un terreno fertile per il reclutamento di miliziani, come il Nordest della Nigeria lo è per i Boko Haram. E proprio nella zona si è consumata l’ennesima carneficina in un villaggio: 50 le vittime.
Le autorità keniane tendono a sminuire il problema parlando anche per la strage di Mandera di «gang criminali». Ma attacchi in grande stile come quello al centro commerciale di Nairobi o quelli di giugno nella zona costiera lasciano pochi dubbi. Dice al Corriere Padre Giulio Albanese, fondatore di Misna : «La contaminazione degli shebab con il jihadismo continuerà a rafforzarsi se non si risolve la questione somala: un governo fantoccio a cui le forze straniere consentono una sovranità puramente formale».
Alessandra Muglia


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