Hong Kong, studenti in manette

Hong Kong, studenti in manette

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 PECHINO Per sessanta giorni i ragazzi del movimento democratico di Hong Kong e la polizia si erano affrontati in una sfida di logoramento con pochissimi episodi di violenza. Ma nelle ultime ore la situazione sta subendo un’accelerazione drammatica per la tradizione pacifica del territorio. Gli agenti sono andati all’attacco dei blocchi stradali nel quartiere Mong Kok a Kowloon, la zona continentale di fronte all’isola di Hong Kong. Ci sono stati scontri, manganellate, uso di spray urticanti e 148 arresti, compreso Joshua Wong, il diciottenne che guida l’organizzazione «Scholarism», il suo compagno Lester Shum della «Federation of Students» e altri due giovani leader. Tra i feriti o contusi anche una ventina di agenti.
Teatro degli scontri è stata Nathan Road, l’arteria a sei corsie che attraversa Mong Kok ed è il centro della sua attività commerciale. I ragazzi avevano piazzato tende e barricate che per otto settimane hanno fermato il traffico: l’ordine di sgombero è venuto dalla magistratura indipendente di Hong Kong, sollecitata da una cooperativa di tassisti esasperati. Quella delle ingiunzioni giudiziarie è la tattica alla quale si è affidato il governo di Hong Kong, incapace di dare una risposta politica alla protesta dei ragazzi, che chiedono candidature libere per le elezioni del governatore, nel 2017.
La settimana scorsa gli studenti si erano ritirati da una parte di Admiralty, il quartiere degli affari di Hong Kong, quasi senza opporre resistenza; era stata spaccata solo una porta a vetri del Legislative Council, l’assemblea parlamentare: episodio subito condannato come provocazione di una piccola frangia del movimento. L’altra sera a Nathan Road invece ci sono stati corpo a corpo tra gruppi di manifestanti e poliziotti: uno choc destinato a lasciare il segno in una città non abituata alla violenza di piazza. Così come ha danneggiato l’immagine della polizia il pestaggio di un attivista ripreso dalle telecamere il 15 ottobre: ieri sette agenti sono stati arrestati. Dalla cella dove sono detenuti, i quattro leader studenteschi hanno twittato: «Ci accusano di oltraggio al tribunale e resistenza alle forze dell’ordine». Il loro arresto potrebbe riaccendere la protesta, che aveva perso di slancio ed era stata sconfessata anche dalla maggioranza della popolazione, stanca dei disagi. «Torneremo in strada e saremo in tanti», dicevano diversi studenti ieri notte.
La situazione del movimento democratico però si è fatta precaria: sono emerse divisioni al suo interno, non c’è coordinamento con il gruppo di docenti universitari che avevano lanciato «Occupy Central», non c’è dialogo politico con le autorità. Che cosa succederà nelle prossime ore?
Steve Vickers, capo dell’intelligence della polizia fino al 1997, quando Hong Kong è stata restituita alla Cina dalla Gran Bretagna, ora dirige una società di «valutazione rischi», ed è pessimista: «Il governo locale non fa nulla, Occupy Central non ha una leadership unita: così si è dato un pretesto a Pechino e ai suoi servizi di sicurezza per giocare un ruolo più attivo a Hong Kong. Ci sono in giro agitatori, provocatori, anche legati alle Triadi; la polizia si trova in mezzo, con pochi ordini, demoralizzata». Potrebbe finire male, con scontri gravi e con la Cina «costretta» a prendere il controllo.
Guido Santevecchi


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